Presidi in trincea. La solitudine dei numeri uno
di BEPPE BONI
E’ la solitudine dei numeri uno. Lavorano sostanzialmente ignorati, spesso considerati semplici contabili della didattica (qualcuno lo è sul serio) o diligenti burocrati anzichè manager dell’istruzione. La prof di italiano o di filosofia è sempre più protagonista di loro. Soli prima, più soli ancora oggi nella turbolenza della ripresa scolastica mentre il maledetto virus rialza la testa. Eccoli qua, sono i presidi, i dirigenti scolastici, combattenti per caso passati repentinamente dalle retrovie alla prima linea di una riorganizzazione avviata nel caos, fra spazi insufficienti, fantastici banchi con le ruote e linee guida ministeriali con più lacune che indicazioni.
Dopo una vita da mediano, il preside dell’autunno 2020 diventa suo malgrado un giocatore di punta. Solo, là davanti all’area della porta avversaria. Armiamoci e partite, hanno detto dal Ministero. Amati, temuti, a volte non considerati (papà meglio tenersi buono il prof di matematica…) da studenti e genitori oggi vivono il loro Settembre nero (non c’entra il terrorismo palestinese) dovendo far fronte ad una riapertura delle scuole sotto scacco del virus. Di notte i presidi, anzichè registri dei voti sognano tamponi, mascherine, distanze, cattedre che mancano.
I programmi? Cose importanti, per carità, ma al momento argomenti di
seconda fila. Quando si svegliano al mattino sanno che la giornata si
avvia verso un fronte di grane risolvibili perlopiù con la fantasia e
attraverso vie secondarie. I casi sospetti sono un incubo. Poi ci sono
le certificazioni per la riammissione alle lezioni, i sintomi che
potrebbero essere confusi col virus, i vuoti giuridici sugli insegnanti
in quarantena. E nella scuola sempre poco incline ai cambiamenti si
inventano figure nuove. Come i referenti Covid, strappati alle loro funzioni originarie. O come i segugi che devono inseguire le Asl come se fossero una lepre.
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