Stipendi livellati. La retorica anti casta uccide il merito

di PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

Nel “caso Tridico“ stupisce non tanto la delibera che ne aumenta lo stipendio a 150mila euro lordi all’anno (circa 6mila netti al mese), quanto che un dirigente apicale di quel livello potesse ricevere in precedenza una busta paga inferiore ai 3mila euro, molto meno di tanti dirigenti dell’Inps stesso, e – secondo aspetto che lascia senza parole – che nessun politico, neppure quelli che l’avevano nominato, i grillini, abbiano speso una dichiarazione per affermare una verità tanto evidente: chi lavora con competenza, preparazione e si assume grandi responsabilità, magari rischiando anche il posto, dever ricevere un emolumento adeguato.

E 3mila euro per il presidente di un ente che mobilita 300 miliardi all’anno, ha migliaia di dipendenti, non sono adeguati. Lasciando da parte le considerazioni sulle capacità o non capacità mostrate dal professor Pasquale Tridico in questo anno e mezzo alla guida dell’Inps, su quanto si è visto nella gestione della cassa integrazione post-Covid o nel caso dei tre furbetti del bonus, considerazioni che vanno al di là del ragionamento.

Non l’hanno difeso i grillini, non l’ha difeso il presidente del Consiglio di quel governo che l’aveva nominato, Giuseppe Conte. Tutti si sono detti stupiti dell’aumento di stipendio, o hanno fatto intendere di esserlo stati. L’hanno scaricato. Non l’hanno difeso perché la narrazione anticasta di cui i 5 stelle si sono alimentati e di cui tuttora detengono il copyright (il referendum di domenica scorsa lo conferma) presuppone che non conti quanto si è capaci di fare, non conti il merito o il curriculum che si esibisce per ottenere un posto. Conta solo che si venga pagati poco perché altrimenti si è “casta“.

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