Su Autostrade Conte si prende altri dieci giorni
A palazzo Chigi l’ultimatum ai Benetton si annacqua in un penultimatum alle sei e mezza del pomeriggio. Nella stanza di Giuseppe Conte c’è il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, accompagnato dal direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera, la titolare dei Trasporti Paola De Micheli, i capi di gabinetto dei due dicasteri e Roberto Chieppa, il segretario generale di Chigi. La decisione è unanime: impossibile procedere subito con la revoca della concessione. È così che l’ultimatum su Autostrade lanciato sabato scorso dal premier, arrivato nel frattempo a scadenza, si trasforma in una necessità: rinviare, prendere ancora tempo. Dieci giorni. Se dai Benetton non arriverà un segnale diverso rispetto a quello delle ultime ore allora scatterà la revoca. Altrimenti si valuterà la nuova proposta.
Il premier promette ai ministri e agli altri presenti alla riunione che convocherà un Consiglio dei ministri il 10 ottobre per decidere cosa fare su un dossier aperto da più di due anni, dal crollo del ponte Morandi a Genova. Oltre non è disposto ad andare. Gualtieri e De Micheli concordano. Il messaggio da consegnare all’esterno per non sconfessare l’ultimatum è che alle condizioni attuali si andrà dritti verso la revoca. Quindi – è il ragionamento – sono i Benetton che devono darsi da fare e convincere il Governo dell’idoneità di una nuova proposta. Diversa rispetto a quella formalizzata da Atlantia, la casa madre attraverso cui i Benetton controllano Autostrade, nella lettera inviata ventiquattro ore prima all’esecutivo. In quella lettera la società ha scritto che è disposta a vendere Autostrade, ma non seguendo lo schema che chiede Conte e che è stato messo nero su bianco nell’accordo siglato con i Benetton all’alba del 15 luglio.
Uno schema il Governo ce l’ha. Ma è quello della revoca. Anticipato da Huffpost, porta fino alla nomina di un commissario. Ma ci sono anche i timori dei tecnici del Governo e di una parte del Pd, oltre che dei 5 stelle, per non parlare della contrarietà dei renziani. Le ragioni politiche della contrarietà alla linea dura sono più marginali rispetto ai mesi scorsi, ma quelle tecniche no. Dove per tecniche si intendono i rischi che lo Stato potrebbe ritrovarsi sul groppone sotto forma di un maxi-risarcimento miliardario grande quanto una manovra economica.
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