La scuola e i concorsi da fare

di Sabino Cassese

Una inedita alleanza Lega, Pd, sindacati della scuola, dopo aver spinto per rinviare ad ottobre il concorso straordinario per la scuola bandito ad aprile, vuole ora che non si faccia. «Si apra il tavolo per una soluzione migliore», ha detto qualcuno. Qualcun altro ha proclamato: «non fare nessun concorso»; «stabilizzare le migliaia di precari che insegnano già da anni». Resiste coraggiosamente la ministra Azzolina.

I posti sono 32 mila, i candidati poco più di 64 mila. Il concorso è riservato a chi è stato supplente per tre anni e consisterà in una prova scritta di due ore e mezzo. È necessario non solo perché i candidati sono il doppio dei posti, ma anche perché il sistema scolastico è nazionale, i supplenti sono stati scelti dagli uffici scolastici regionali e in qualche caso dai dirigenti scolastici, sulla base di criteri diversi e talora non rigorosi (Boeri e Rizzo, nel loro libro Riprendiamoci lo Stato, hanno segnalato il «trenino delle maestre»: l’insegnante si ammala; viene nominato il supplente, che si ammala a sua volta, e così via).

Ma ci sono molti altri motivi per cui bisogna fare i concorsi. Ci obbliga la Costituzione, articolo 97: «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso». Solo con il concorso (con un concorso fatto perbene) si può misurare il merito, cioè qualità, esperienza, capacità, abilità.

Solo il concorso dà eguali possibilità a tutti: senza concorso, potrà avere il posto quello che è più vicino al politico di turno, o al dirigente amministrativo, perché la scelta è discrezionale, non competitiva, non operata da una commissione imparziale. Insomma, prevarranno affiliazioni, familismo, talora corruzione. Inoltre, se non si seleziona mediante concorso, si può immaginare la frustrazione di chi ha faticato per vincerne uno e che si vede affiancato da un vicino che arriva senza sforzo. Infine, bisogna rispettare le regole, alle quali non si può continuamente derogare.

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