La malinconia di Van Gogh vince sulla follia
Tutto il percorso è scandito dalle lettere che Vincent scriveva soprattutto al fratello: Goldin le ha studiate e raccolte ne L’autobiografia mai scritta, in uscita per La Nave di Teseo.
Accompagniamo Vincent fra i contadini di Etten e i suoi primi esercizi sulla figura anche nel ricordo del Seminatore di Millet e delle luci dei fiamminghi della Golden Age, poi all’Aia, dove l’ex prostituta Sien e sua madre posano per lui “con i vestiti adatti”, e a Neunen fra tessitori e contadini, quei volti segnati dalla fatica che ritroverà nei Mangiatori di patate.
Quindi la svolta dei due anni a Parigi, le prime accensioni del colore, le nature morte con i fiori di campo e la veduta di Montmartre del 1887, la pittura di striscioline che rivela la ‘lezione’ di Signac e di Seurat, affiancati in mostra. E il 1888 di Arles in Provenza e l’amicizia tribolata con Gauguin che abiterà con lui per due mesi nella Casa gialla, fino al drammatico episodio del taglio dell’orecchio: qui Vincent vede i campi di grano della Crau battuti dal sole e il vigneto verde sotto un cielo pastoso, e con tinte straordinarie ritrae gli amici, il postino Joseph Roulin e il figlio Armand, e monsieur Ginoux che con la moglie (L’Arlesienne, nella versione proveniente dalla Galleria di arte moderna di Roma) gestiva il caffé sotto casa.
Si approda infine al 1889 in cui Van Gogh si fa ricoverare all’ospedale psichiatrico di Saint Rémy, in preda alle crisi, e dalla finestra con le sbarre realizza gli incredibili paesaggi che ci parlano del suo animo in tempesta. È l’ultimo atto di quel pittore che poi, attorno al 1957, Francis Bacon celebrerà in maniera potente, a partire da una tela ormai dispersa, Il pittore sulla strada di Tarascona, distrutta a Magdeburgo durante la Seconda guerra mondiale.
Il fuoco che si è portato via quel dipinto di Van Gogh è lo stesso che ha divorato lui. Per tutta la vita.
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