Vaticano, «bonifici di Becciu agli accusatori nel processo per pedofilia a Pell»

di Fiorenza Sarzanini

Vaticano, «bonifici di Becciu agli accusatori nel processo per pedofilia a Pell»

I 700 mila euro inviati in Australia attraverso alcuni bonifici frazionati potrebbero essere stati utilizzati per «comprare» gli accusatori nel processo per pedofilia contro il cardinale George Pell. È l’ipotesi degli inquirenti vaticani che rischia di provocare una nuova e clamorosa svolta dell’indagine avviata sugli ammanchi da centinaia di milioni di euro dell’obolo di San Pietro e altre disponibilità della Segreteria di Stato. Le verifiche riguardano le movimentazioni disposte da monsignor Angelo Becciu, il Sostituto costretto la scorsa settimana alle dimissioni dall’incarico di Prefetto della Congregazione delle cause dei santi che ha perso anche i diritti connessi al cardinalato. E si allargano ai dipendenti della Segreteria, ma soprattutto ai faccendieri accusati di aver portato a termine «una manovra ben pianificata per realizzare una ingente depredazione di risorse finanziarie della Segreteria di Stato che non ha eguali».

Lo scontro

La rivalità tra i prelati Pell e Becciu non è mai stata un mistero all’interno e fuori dalla Santa Sede. Tanto che nel 2015, quando Pell — allora Prefetto della Segreteria per l’Economia — parlò al meeting di Rimini della necessità di «mettere in ordine i nostri affari in modo che possano essere mostrati al mondo esterno» e annunciò che «la prossima ondata di attacchi alla Chiesa potrebbe essere per irregolarità finanziarie», molti pensarono che si riferisse proprio alla gestione dei soldi destinati agli indigenti e invece utilizzati per investimenti immobiliari. Nessuno poteva però immaginare che all’epoca Becciu e gli altri componenti della Segreteria — primo fra tutti monsignor Alberto Perlasca — si fossero affidati a faccendieri come Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi per acquistare palazzi e spostare soldi in conti esteri.

L’accusatore
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