Vaticano-Cina, cosa c’è dietro al dialogo

di   Ernesto Galli della Loggia

Dietro la vicenda del rapporto tra la Santa Sede e la Cina c’è una lunga storia. Una storia che merita di essere conosciuta per capire che cosa oggi c’è in gioco. Comincia cinque secoli fa, quando in seguito alla diffusione in Europa della riforma protestante la Chiesa cattolica perse il controllo religioso (e per più versi politico) di metà del continente. In pratica alla metà del ‘500 rimanevano fedeli al Papa solo Portogallo e Spagna con i loro enormi possedimenti coloniali, la Francia, i domini degli Asburgo d’Austria e naturalmente la penisola italiana in buona parte in mani spagnole. Sconfitta e mutilata così gravemente in Europa, la Chiesa di Roma, non dimentica della sua vocazione universale (com’ è noto «cattolico» è un termine greco che significa per l’appunto «universale»), concepì allora il piano grandioso di cercare una rivincita oltre le colonne d’Ercole: l’evangelizzazione dei continenti extraeuropei. Per l’America centro-meridionale la presenza dei conquistatori spagnoli rendeva la cosa facile, Nei Paesi islamici invece non c’era nulla da fare e l’Africa nera era un territorio di fatto impenetrabile. Rimaneva solo l’Asia.

Per alcuni decenni specialmente i gesuiti (di certo papa Bergoglio conosce molto bene queste storie) si lanciarono in una delle più straordinarie avventure antropologiche e dei più arditi tentativi di acculturazione che si siano mai visti. Dall’India al Giappone alla Cina una sparuta schiera di missionari intellettuali della Compagnia provarono a tradurre ed esportare la religione cattolica in civiltà che non si può immaginare ad essa più culturalmente estranee. Il traguardo più ambito fu naturalmente l’immenso impero cinese e mancò davvero poco che il più geniale di quei Padri, Matteo Ricci, riuscisse a convertire l’imperatore, prima che Roma, dopo la sua morte, decidesse però una generale ritirata a causa di sopravvenute dispute teologiche.

Si va troppo lontano dal vero, c’è da chiedersi, se si pensa che oggi, dietro lo spasmodico tentativo di Francesco di tenere in piedi a tutti i costi il rapporto con Pechino, vi sia qualcosa di analogo a quanto accaduto tanto tempo fa? Se si pensa che il papa terzomondista delle «periferie» — di fronte alla crisi all’apparenza irreparabile non solo del cattolicesimo ma dell’intero cristianesimo nell’Occidente euro-atlantico — abbia deciso di giocare le sorti della Chiesa cercando l’accreditamento ufficiale della religione di cui è a capo presso un miliardo e mezzo di persone all’altro capo del globo? Che abbia deciso di tentare niente di meno che la conquista di quel miliardo e mezzo di anime, all’incirca il triplo dell’intera popolazione dell’Unione europea? E allora non merita forse un simile progetto grandioso anche qualche cedimento alle pretese del governo di Pechino o sopportare i brontolii del governo di Washington? Che ne può sapere di Matteo Ricci uno come Mike Pompeo?

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