L’obbedienza civile è l’antivirus
Il capo supremo di quelli che è solo un raffreddore, Donald Trump, è positivo, come già successo ad altri campioni del folle gioco dello struzzo, da Boris Johnson al brasiliano Bolsonaro, al bielorusso Lukashenko. Un contrappasso assolutamente casuale, che dà però la misura che l’unica vera difesa contro il coronavirus non è il censo né il rango (quello vale semmai per le possibilità di cura) ma il rispetto dei precetti per contrastarlo. Da Israele alla Francia, si moltiplicano i Paesi che stanno innestando una brusca retromarcia rispetto al ritorno alla normalità. Il milione di morti appena raggiunto nel mondo, e già superato, dovrebbe essere un monito sufficiente. Dovrebbe.
Nessuno si augura nuovi lockdown, con danni incalcolabili per la faticosissima ripartenza economica di cui ogni nazione, e specialmente la nostra, ha disperato bisogno. Ma per evitare il doppio peggio (sanitario e finanziario), per scongiurare il rischio incalcolabile di altri blocchi totali, non basta sminuire il pericolo né pregare che la coda lunghissima del male ci passi sopra risparmiandoci. Servono regole semplici e non derogabili, la determinazione nel farle rispettare, e un’obbedienza civile che si era manifestata, salvando vite e reputazione dell’Italia, nella scorsa primavera ma che adesso sembra essersi dissolta, con la stessa rapidità con cui era miracolosamente comparsa, dal commovente popolo dei balconi alla solidarietà generale per medici e infermieri in prima linea.
Va recuperata quell’obbedienza, che non è un regalo ma un dovere collettivo. E per ottenere questa collaborazione dai cittadini è indispensabile un governo che ci metta la faccia, che affronti i rischi dell’impopolarità, che scacci il fantasma sempre incombente di non dare vantaggi a un’opposizione temuta al punto da imbrigliare anche le azioni più indifferibili. Un governo che parli chiaro e con una voce sola. Un governo disposto anche a perdere consensi nei sondaggi dell’immediato pur di garantire, spiegandone le ragioni, un presente meno allarmante al proprio Paese.
Se continua così, ed è l’Istituto superiore della Sanità a certificarlo, non andrà tutto bene. Avevamo tirato un più che comprensibile respiro di sollievo quando le terapie intensive si svuotavano, i contagi calavano, il caldo dell’estate prometteva una liberazione dalla compressione da isolamento. Ma il nemico non se n’era andato. E appena si sono riaperti varchi nelle nostre trincee di protezione, troppo frettolosamente abbandonate, si è ripresentato con una evidenza che soltanto la cecità di chi si ostina a negarla può sottovalutare.
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