L’obbedienza civile è l’antivirus
E a poco valgono i distinguo sulla intensità variabile del Coronavirus (è tornato ma è meno aggressivo). I bollettini dal fronte raccontano un’altra storia, dove tutti gli indici stanno risalendo rapidamente, dai contagi ai ricoveri nelle terapie intensive, e si stanno allargando a zone più risparmiate dalla prima ondata, come Sicilia, Sardegna, Campania e Lazio. Dalla riapertura delle scuole, doverosa per carità, 124 sono state già chiuse e oltre 900 hanno problemi con la positività di alunni o insegnanti. Prevedibile, inevitabile. Contenibile però se si faranno le scelte necessarie e si applicheranno con fermezza le sanzioni per chi non rispetta, insieme alle norme, la salute di chi gli sta accanto.
Il guaio è l’insegnante di un liceo di Novara che non metteva la mascherina perché il distanziamento, secondo lei, era comunque garantito. Il guaio sono i bambini e i ragazzini che, dopo una mattina «sorvegliata» nelle aule del monobanco, il pomeriggio vanno in libera uscita ammucchiandosi nei parchi o nei campi gioco, vanificando le precauzioni del mattino con il beneplacito degli adulti che li accompagnano. Il guaio sono i leader politici che sfidano il buonsenso esibendosi a viso nudo nelle piazze o gli ardimentosi personaggi popolari che con il loro sarcasmo irrazionale soffiano sulla brace di gente confusa, spaventata dal presente, insofferente ai divieti, non informata con sufficiente chiarezza sulla gravità del pericolo. La app «Immuni», che è uno dei tanti mezzi facoltativi messi a disposizione per ripararsi dai contagi, è stata scaricata dal 15 per cento degli italiani: per diventare efficace, la percentuale dovrebbe salire al 60 per cento.
Il governo si starebbe preparando (il condizionale è purtroppo obbligatorio, con questo Conte bis pronto a dividersi in extremis su qualsiasi meta) a prorogare le misure d’emergenza fino al 31 gennaio: quattro mesi. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha parlato di altri sette/otto mesi da affrontare con il coltello tra i denti, il che significa guardia altissima almeno fino al prossimo aprile, e di conseguenza, se il trend non s’inverte, un’ulteriore proroga è già in preventivo. La mascherina obbligatoria all’aperto, appena varata da alcune Regioni ma in ordine sparso, promette di diventare misura nazionale, insieme a un distanziamento fisico da rilanciare con rigore, il no al pubblico negli stadi, il no a qualsiasi occasione che metta troppe persone vicine, feste private comprese. In attesa del vaccino anti Covid che verrà, forse nel giugno prossimo, e di quello anti influenzale, che già dovrebbe esserci ma che al momento risulta disponibile appena per un cittadino su tre, stiamo raggiungendo i 36 mila morti. Se tutti rispettassero le precauzioni di buon senso, mascherina compresa, non ci sarebbe bisogno di tornare a stringere i bulloni di una coscienza collettiva allentata. L’obbligo del coraggio di decisioni drastiche non può aspettare né i rimedi farmacologici né improbabili conversioni di massa alle prevenzioni indispensabili.
Ha un costo, l’obbligo del coraggio responsabile. Ed è un costo elevato. Già così, a guardia abbassata, ogni settore lamenta sofferenze molto consistenti e rischio altissimo di chiusure definitive, con un prezzo sociale neanche quantificabile di perdita di posti di lavoro. Ma non è la strategia dello struzzo che ci salverà dai rinnovati focolai né che ridarà fiato a un’economia spossata. Al premier britannico Boris Johnson, che in materia di discutibile lotta al Covid provava a spiegargli che «il suo popolo non può essere costretto a obbedire in modo uniforme», il Presidente Mattarella ha risposto: «Anche noi italiani amiamo la libertà, ma abbiamo a cuore la serietà». Ecco, un Paese serio non va incontro a una possibile seconda andata di dolore confidando che passi la nottata. Un Paese serio pretende responsabilità dai suoi cittadini, e se del caso la impone. La libertà non è star sopra un albero, libertà è partecipazione (cit. Giorgio Gaber).
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