Coronavirus, ecco come l’economia mondiale crolla e dove la Cina guadagna

di Milena Gabanelli e Danilo Taino

Dopo quasi otto mesi di pandemia si contano i danni: oltre un milione di morti e una recessione globale. Ad agosto il World Economic Forum stimava fra gli 8 e 15 mila miliardi di dollari, che a fine anno diventeranno 17,3 secondo la Australian National University. Una cifra destinata a crescere almeno fino a quando non sarà disponibile il vaccino. L’aumento dei deficit pubblici nei Paesi avanzati si piazza attorno al 20% dei loro Pil, con una crescita altrettanto rilevante degli indebitamenti dei governi. Intanto nei 37 Paesi dell’Ocse la disoccupazione è passata dal 5,3% del 2019 al 9,7%. Nel secondo trimestre il commercio globale è sceso del 18,5%.

La Cina cresce con l’esportazione di materiale sanitario

In Cina le cose vanno meglio: a fine anno il Pil registrerà un più 1,9%. Un anno e mezzo fa uno studio della Brookings Institution stimò che il Pil effettivo è del 12% minore di quello delle statistiche ufficiali, ma trovare altri dati più credibili è impossibile. Le esportazioni sono aumentate del 10,4%, soprattutto materiale sanitario e apparecchiature elettromedicali di cui il mondo ha disperatamente bisogno. Con il crollo del turismo cinese internazionale sono aumentati i consumi interni: i cinesi acquistano a casa loro quello che prima acquistavano in Giappone e in Europa, soprattutto nel lusso. Il gruppo Kering (Gucci e YSL) ha fatto un più 40% nel secondo trimestre 2020. La People Bank of China ha allentato le riserve che devono detenere le banche e ha immesso nell’economia 212 miliardi di dollari. La disoccupazione è del 5,6%, ma ci sono 8,7 milioni di studenti appena usciti dalle università che devono trovare lavoro.

Un Paese più isolato
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