Lo schiavismo dei tre euro a consegna

di MICHELE BRAMBILLA

Ricordate? Ne parlammo qui durante il lockdown, riflettendo su un aspetto che ci pareva del tutto trascurato. E cioè sulla constatazione di un fatto: che a tenerci vivi in quel periodo di “chiusura per Covid” erano stati i lavoratori meno pagati: i rider che ci portavano a casa la spesa, le pizze i farmaci i pacchi acquistati online eccetera; e poi le cassiere dei supermercati, gli infermieri, le forze dell’ordine che garantivano i controlli, gli autisti dei camion che trasportavano le merci, gli edicolanti eccetera. Lavoravano – garantendo i servizi essenziali e rischiando la pelle – le categorie meno tutelate e peggio retribuite, eppure indispensabili. Strano, no?

Bene. Oggi dedichiamo una pagina alle intercettazioni ordinate dalla magistratura in un’inchiesta su una di queste società che gestisce le consegne a domicilio. Una manager rimprovera un collaboratore: “Ti prego, davanti a un esterno non devi dire mai più “abbiamo creato un sistema per disperati“. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori”. Emerge, dai discorsi di questi manager, un sistema che ricorda, o forse fa addirittura impallidire, lo sfruttamento dei lavoratori durante la rivoluzione industriale dell’Ottocento. I rider vengono pagati tre euro a consegna, “derubati” (scrivono i pm) delle mance e puniti – quando il servizio non è ritenuto all’altezza dal cosiddetto “management“ – “attraverso l’arbitraria sospensione dei pagamenti dovuti” e perfino attraverso il non versamento al fisco delle ritenute d’acconto.

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