Roma, la versione di Buzzi e il peccato Capitale di abituarsi al peggio

di CARLO BONINI

Neanche fosse una maledizione da cui è impossibile affrancarsi, Roma assiste all’ultima capriola che, nel riscrivere una pagina di storia recente della città, dovrebbe fare da viatico all’inizio della lunga campagna elettorale per la scelta del nuovo sindaco.

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Parliamo di “Mafia Capitale”, del ritorno sulla scena di Salvatore Buzzi (imputato oggi in libertà in attesa che un nuovo processo ridetermini la pena cui è stato condannato in primo, 19 anni, e secondo grado, 18 anni e 4 mesi, per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione), della ineffabile banalizzazione di ciò che quel processo ha documentato, della lezione che se ne sarebbe potuto e dovuto trarne.

Ancora domenica sera, ospite di “Non è l’Arena” di Massimo Giletti, Buzzi ha posato a capro espiatorio raccontando una storiella che, all’osso, suona così. Quella di “Mafia Capitale” è una faccenda da quattro soldi in cui un campione della cooperazione sociale, cresciuto politicamente a sinistra (Buzzi) e con alle spalle una storia di ravvedimento e reinserimento sociale (una condanna per omicidio in giovane età), scopre, negli anni della giunta Alemanno, e quindi nella breve stagione di quella Marino, le virtù di “promoter” (testuale) di un signore di mezza età con “qualche precedente per furto”, che di nome fa Massimo Carminati. Capace di farlo pesare di più nei rapporti con la corrotta pubblica amministrazione capitolina e di fargli avere il “dovuto” nella riscossione di crediti legittimamente vantati per appalti di beni e servizi.

Roma, Mondo di mezzo, Salvatore Buzzi ai domiciliari

di RORY CAPPELLI
Altro dunque che mafia, altro che banditi, altro che corrotti e corruttori. Semplicemente, la triste storia di un uomo costretto ad arrangiarsi in una città irredimibile dove “così fan tutti”. Dove “una mano lava l’altra”. Dove “a chi tocca nun se ingrugna”. Dove “la mucca va fatta magna’” per poterla mungere. Una giungla abitata da “forchettoni” dove tutti chiedono grano e favori, dall’ultimo rapace funzionario di Municipio all’ultimo consigliere comunale. E dove le minacce proferite nel tempo al telefono con i diversi “clientes” dal “promoter” Carminati che amava definirsi “il Re di Roma” e catturate dalle cimici dei carabinieri, sono in fondo solo la voce dal sen fuggita di “una banda di cazzari”.

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