Il coraggio da ritrovare

Da un lato del precipizio, c’è una crisi economica che diventerà emergenza sociale quando, da inizio 2021, verrà sospeso il blocco dei licenziamenti, con la Cgil che paventa una perdita secca di un milione di posti di lavoro e Assolombarda che dichiara impensabile l’ipotesi di mantenere gli organici di prima. Un altro lockdown totale troncherebbe i germogli di ripartenza, accelerando una deriva già in atto, dove staremo tutti un po’ peggio, ma il peggio di molti, i più deboli e i meno tutelati, metterà a dura prova la nostra stessa convivenza civile. Dall’altro lato del burrone, c’è un virus diabolico che adesso attacca anche i giovani, che lo passeranno ai più anziani, che torneranno ad affollare ospedali e terapie intensive, in un film dell’orrore già visto e che minaccia una replica devastante.

Mentre stiamo crudelmente rimontando posizioni nella classifica dei Paesi europei più colpiti (al momento, Regno Unito, Austria, Francia, Spagna, Repubblica Ceca), aspettare anche soltanto una settimana per imporre una strategia di contenimento adeguata sarebbe un peccato civile imperdonabile. E porterebbe, inevitabilmente, all’ipotesi più estrema e più letale, quella della chiusura totale. Non a Natale, come è stato da qualcuno immaginato: molto prima.

Il coronavirus circola più che mai, lo dicono gli scienziati coscienziosi, lo confermano i numeri. Per ogni nuovo contagiato, andrebbero identificate tra le 15 e le 20 persone con cui ha avuto una qualche vicinanza. A oggi, significherebbe poter mettere in isolamento 140 mila individui (nelle ultime ventiquattrore, sono invece finiti in quarantena appena in 1.300), in attesa di tamponi e di reagenti che ancora non ci sono in numero nemmeno lontanamente sufficiente, con inguardabili code di ore per poterne fare uno gratis.

Va preso atto di un’evidenza: la nostra prima linea difensiva, cioè l’individuazione dei «positivi», non sta reggendo, anzi è stata travolta. La Lombardia torna ad angosciare come nei tempi brutti. La Campania sta conoscendo incrementi che aveva scongiurato nella prima ondata. Riprendono a farsi più rosse sulla mappa di guerra Piemonte e Veneto, Toscana e Lazio.

Non è più il caso che ogni ministro rivendichi la propria autonomia di decisione. Se il problema numero uno sono i contatti umani, su quelli è indispensabile intervenire subito e drasticamente. Ha senso, in questo quadro, mantenere l’affollamento dei mezzi pubblici all’80 per cento, come quando ci sentivamo quasi in salvo? Ha senso difendere l’orario di ingresso a scuola uguale per tutti, quando scaglionandolo si otterrebbe un decongestionamento del traffico nelle ore più esposte al contatto, e quindi al contagio? Ha senso incartarsi sul numero delle persone presenti a una festa privata (sei), quando non c’è alcuna possibilità di controllo né di sanzione? Ha senso, più in generale, limitarsi agli appelli generici alla prudenza e alla responsabilità, piuttosto che operare con azioni rapide e mirate nei territori dove il Coronavirus sta interrando in profondità le mine dei propri focolai? Proprio in queste ore, a fronte dell’enormità degli ultimi dati, alcuni presidenti di Regione e alcuni sindaci si stanno già muovendo in proprio, ma in ordine sparso.

Qualcosa non ha funzionato nella cabina di regia, e nemmeno nella catena di comando. Non abbiamo riempito i nostri arsenali medici degli strumenti necessari ad affrontare questo malaugurato secondo tempo di pandemia. Non abbiamo rafforzato la sanità di base, scegliendo di investire risorse altrove, come i bonus su bici e monopattini, utilissimi per lo spirito, un po’ meno quando torna a infuriare la battaglia. Stiamo ancora discettando sui fondi del Mes, come se disponessimo di un patrimonio inesauribile da spendere per riportare sotto controllo l’impennata di febbre della pandemia.

Avere difeso molto meglio di altri la nostra comunità quando il virus venuto dalla Cina scelse proprio l’Italia come primo Paese di sbarco è un titolo di merito e una credenziale importantissima. Sprecarla adesso, con scelte inadatte (e persone non all’altezza) rispetto alla rinnovata voracità del morbo, non cancellerebbe il buono dell’altro ieri ma ipotecherebbe il futuro a breve di una nazione che sta camminando, non del tutto consapevole, su un ponticello sospeso tra due abissi.

CORRIERE.IT

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