Se si spreca il vantaggio

Così come colpisce il gap tra le annunciate terapie intensive, era stato programmato un aumento di 3.553 posti, e la loro effettiva realizzazione, che si è arrestata a soli 1.300 in più. Ancora di più stupisce leggere una dichiarazione delle autorità politiche lombarde che, alla domanda del Corriere, sull’esistenza o meno di medici e infermiere per far funzionare l’ospedale della Fiera rispondono «È un problema ancora aperto, ma se sarà necessario li troveremo». Colpisce l’assenza di migliaia di insegnanti nelle scuole e la difficoltà di organizzare gli orari e i trasporti in modo da ridurre il rischio di diffusione del contagio.

So, per esperienza, che tutto, nell’emergenza è difficile. Ma so anche che tutto, nell’emergenza, è possibile. Quello che gli italiani credo sentano, in questa fase nuova, è un grande bisogno di decisione e di velocità, di chiarezza e di trasparenza. I nostri connazionali hanno dimostrato un senso di responsabilità che ci fa onore. Tutti, nel mondo, sono costretti a riconoscere che i cittadini di questo Paese hanno costituito un modello di rigore e serietà. Anche per questo non aiuta l’Italia in questo momento chi, dall’opposizione, spera di far cadere il governo. Sarebbe un atto irresponsabile. Ma non aiuta neanche che la maggioranza dia l’impressione di dividersi e contorcersi attorno al voto ai diciottenni al Senato o a ipotesi di rimpasto. Non ora, non lontani dalle preoccupazioni della gente. Non all’Hotel Zafer, insomma.

C’è bisogno, oggi, che il governo mostri autorevolezza e sappia dialogare con un’opposizione responsabile. Ciò che appare più che opportuno, specie in ragione del reiterarsi della dichiarazione di stato d’emergenza.

Perché non c’è una sola battaglia da condurre. Ce ne sono due. Quella contro la pandemia e quella contro la crisi sociale che sta manifestando la sua reale dimensione. All’inizio del lockdown di marzo il governo disse, autorevolmente, che «nessuno avrebbe perso il lavoro» a causa della pandemia. Un impegno forte, che ha rassicurato un Paese spaventato. Oggi impaurito anche dalle voci di nuovi possibili lockdown generalizzati che darebbero un colpo letale, forse definitivo, a imprese, lavoro, famiglie. Un impegno, quello per i livelli di occupazione, che deve essere confermato. Se posti di lavoro si perderanno in aziende che non hanno produzione, altri se ne devono obbligatoriamente aprire. Da questo punto di vista è necessario che i piani di opere pubbliche, di ammodernamento tecnologico, di riconversione ambientale, di sviluppo della scuola e dell’università divengano rapidamente realtà. Altrimenti si può dischiudere una faglia pericolosa nel tessuto sociale e produttivo del Paese che può esasperare la già crescente diseguaglianza sociale. Il nostro debito pubblico è arrivato a 2.578 miliardi di euro, un record negativo reso necessario dall’emergenza. Ma se questo debito non diventerà presto produzione e lavoro, se non rimbalzeremo immediatamente dal meno dieci di Pil previsto, questa epidemia finirà col compromettere il destino dell’Italia e, soprattutto, quello dei più colpiti: le nuove generazioni.

La pandemia sta allargando pericolosamente la forbice sociale. In questi mesi la ricchezza totale dei miliardari ha raggiunto per la prima volta nella storia i 10 mila e 200 miliardi di dollari toccando nuovi massimi e superando così il precedente valore di 8 mila e 900 miliardi di dollari, raggiunto a fine del 2017. Nel mondo ora ci sono 2.189 miliardari, erano 2.158 nel 2017. Ma nello stesso giorno in cui uscivano questi dati, la World Bank stimava che nel mondo 115 milioni di persone saranno trascinate sotto la soglia di povertà per effetto delle conseguenze del virus. Non reggono società con questi gradi di separazione.

Attingere presto al Recovery fund con progetti mirati e prontamente realizzabili, usare le risorse del Mes per finanziare la ristrutturazione degli ospedali e sostenere il personale, garantire ammortizzatori per coprire l’emergenza dal primo gennaio: sono queste decisioni non rinviabili. Né in Italia, né in Europa. Decidere non è un oltraggio alla democrazia. È la democrazia.

CORRIERE.IT

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