Toghe al voto per eleggere l’Anm. Sfida tra la sinistra di Area e la destra di Mi

Chi sfida chi

Non ci sono nomi che bucano il video nelle liste, e forse questo potrebbe spiegare perché le elezioni siano passate complessivamente sotto silenzio. O forse – Covid e disastri economici e politici a parte – proprio il caso Palamara ha gettato un’ombra su tutta la magistratura. L’ha messa nell’angolo. Ha rotto per sempre il cristallo della trasparenza. Adesso anche i giudici  sono visti come tutti gli altri, come i politici, occupati a spartirsi i posti tipo manuale Cencelli. Forse peggio. L’iter sbrigativo che, sia l’Anm che il Csm, hanno attuato per liberarsi di Luca Palamara, ha accreditato l’idea che la polvere sia stata messa in tutta fretta sotto il tappeto chiudendo la questione, almeno per Palamara, il prima possibile. Del resto, la stessa Anm ha liquidato il caso in un paio di giornate. La prima, a luglio, per votarne l’espulsione. La seconda, il 19 settembre, per ascoltarlo e criticarlo subito dopo, per poi confermare la misura presa. Tutto davanti soltanto a un centinaio di colleghi. Pochi per una faccenda del genere. Ma era un sabato, il giorno dopo si votava per il referendum sul taglio dei parlamentari, e c’era il Covid. 

Le cinque liste 

 Alle ultime elezioni – era il 18 marzo 2016 – vinse Unicost con 2.522 voti di lista. Seguita da Area che ne prese 1.836. Al terzo posto Magistratura indipendente con 1.589 e ultima Autonomia e indipendenza con 1.271, alla sua prima uscita dopo la rottura di Davigo con Mi, e che registrava però il successo personale dell’ex pm di Mani pulite con 1.041 voti. Si parlò allora di vittoria dei centristi e di sconfitta di Area. Davigo vinse, tant’è che diventò presidente dell’Anm per tutto il primo anno. Seguì una rotazione automatica che certo non ha giovato al prestigio dell’Anm, fu la volta di Francesco Minisci di Unicost, di Eugenio Albamonte di Area. Poi arrivò Pasquale Grasso di Mi, ma anche il caso Palamara che portò alle dimissione di Grasso, “colpevole” di non aver preso subito le distanze dai suoi. Nuova giunta allora, con il presidente di Area Lucca Poniz. Che si ricandida di nuovo. Non senza polemiche.

La galassia di Area

Stavolta non c’è un Davigo in corsa. Nel senso che è inutile cercare nomi super famosi tra chi si candida. Tra i 35 di Area, la corrente in cui è tuttora aperta la dinamica tra chi è iscritto a Magistratura democratica, e chi lo è alla sola Area, nata come un cartello che ha unito nelle sfide elettorali Md e il Movimento per la Giustizia, il magistrato più noto è Giuseppe Santalucia, oggi consigliere in Cassazione, ma già capo dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia. C’è Poniz, il presidente uscente, la cui candidatura ha creato più di un nervosismo con gli altri gruppi. Erano già nell’Anm Silvia Albano, giudice del tribunale di Roma, e Giovanni Tedesco, presidente di sezione al tribunale di Napoli. Paola Cameran, sostituto procuratore generale a Venezia, aveva già corso in autunno per le suppletive del Csm.

Tra i volti che hanno la storia di Md ecco Stefano Celli, pm a Rimini, Giorgio Falcone, pm a Padova, di cui non si contano gli interventi nella mailing list. Corre anche Rocco Gustavo Maruotti, il pm di Rieti che ha indagato sul terremoto ad Amatrice e si è commosso alla lettura della sentenza. Carlo Marsella invece è napoletano ma lavora a Palermo, da pm ha indagato sul latitante Matteo Messina Denaro e ora è un sostituto procuratore generale. Modestino Villani, oggi presidente di sezione di tribunale a Torino, è stato protagonista con Mario Suriano e Antonello Ardituro, entrambi oggi in Area, di un’importante scissione da Unicost quando nacque Articolo3. 

La crisi di Unicost 

Unità per la Costituzione soffre, ovviamente, il caso Palamara. E subisce anche una scissione. Se ne vanno i dissidenti che fondano il Movimento per la Costituzione che decide invece di fare cartello con Magistratura indipendente. Mentre Unicost è alle prese con un’assemblea costituente in cui 80 magistrati riscrivono lo statuto, gli scopi e le modalità per stare insieme. Non si ricandida il segretario uscente Giuliano Caputo, pm a Napoli, mentre lo fa Alfonso Scermino, giudice al tribunale di Salerno. Corre Silvia Giorgi, che è stata segretaria del Csm.

Un nome di punta è quello di Giacomo Ebner, che da via Arenula, dove seguiva la giustizia minorile, ha chiesto il rientro al tribunale di Roma. Ha inventato, quando era presidente dell’’Anm romana, “la notte bianca per la legalità”, con i tribunali aperti agli studenti.  In corsa Ettore Cardinali, pm a Bari, dove ha seguito l’inchiesta sul naufragio della nave Norman Atlantic con 31 morti. Mentre è di Napoli, dov’è stato pm, ed è procuratore aggiunto a Torre Annunziata Pierpaolo Filippelli, che ha sequestrato il palazzo Fienga, roccaforte del clan Gionta, e ha arrestato la cosiddetta “dama bianca” di Berlusconi. 

Le mire di Magistratura indipendente

L’ex – o a detta di alcuni – la tuttora corrente di Ferri, punta a conquistare il posto egemone che è stato di Unicost. E non solo si allea con il Movimento per la Costituzione composto dai dissidenti di Unicost, che entrano in lista mantenendo però la loro sigla, ma ospita anche altri transfughi della corrente di cui Palamara era l’uomo più ricercato. Con Antonio Sangermano –  che oggi è il campo della procura per i minorenni di Firenze, ma è stato pm a Prato, ma soprattutto a Milano dove era il pm del caso Ruby insieme a Ilda Boccassini – ci sono l’ex segretario della corrente Enrico Giacomo Infante, pm a Foggia, Luca Nania, giudice al tribunale di Lamezia Terme. 

Ma nella lista di Mi si contano altri esponenti di Unicost, come Salvatore Casciaro, Giovanna Leboroni, procuratore del tribunale per i minori di Ancona, Ilaria Perinu, pm a Milano,  Maria Cristina Ribera, pm a Napoli e impegnata nell’indagine sui rifiuti, Ugo Scavuzzo, presidente di sezione del tribunale di Patti, che aveva fatto parte della giunta di Minisci. Nome di rilievo quello di Giuseppe Spadaro, calabrese, presidente del tribunale dei minori di Bologna, uscito del tutto indenne dall’ispezione del Guardasigilli Alfonso Bonafede dopo i fatti di Bibbiano. Tra i candidati di Mi c’è anche Riccardo Crucioli, giudice del tribunale di Genova, che è fratello di Mattia Crucioli, senatore di M5S. 

A&I senza Davigo

È ovviamente tutta in salita la sfida di Autonomia e indipendenza. Innanzitutto senza Davigo che nel 2016, come nel 2018 al Csm, era il candidato di richiamo. Per di più con il rischio che proprio domani il Csm gli voti contro e lo faccia decadere. Nell’ordine del giorno per la seduta di lunedì c’è già la proposta contro Davigo della consigliera di Mi Loredana Micciché che sposa in toto la tesi dell’Avvocatura dello Stato sul pensionamento definitivo di Davigo anche dal Csm in quanto non più magistrato, ma toga in pensione. 

La gara è affidata ad Aldo Morgigni, giudice della Corte di appello di Roma, che è già stato consigliere togato del Csm, a Cesare Bonamartini, giudice del tribunale di Brescia, vice segretario nell’ultimo governo dell’Anm. In lista Giuseppe Dentamaro, il pm di Bari che aveva fatto arrestare per ricettazione la giornalista Angela Balenzano, poi assolta dal tribunale, per aver pubblicato i verbali delle escort nel processo a Berlusconi. In lista anche un ex Unicost come Camillo Falvo, procuratore di Vibo Valentia. E Roberta Licci, pm a Lecce, che ha fatto arrestare per corruzione i colleghi Michele Nardi e Antonio Savasta di Trani. 

La nuova sfida di Andrea Reale

Nel 2012, con Proposta B, era stato un flop, ma adesso Andrea Reale ci riprova. La sua – Articolo Centouno – è la lista più corta, 18 nomi in tutto. C’è lui, c’è Giuliano Castiglia, giudice a Palermo, c’è Maria Angioni, giudice del lavoro a Sassari. Togheblogspot lancia i temi della loro campagna, il sorteggio per il Csm, la rotazione dei dirigenti, l’abolizione dell’immunità per i componenti del Csm, ma soprattutto una commissione d’inchiesta sul caso Palamara che vada oltre quella che considerano una giustizia domestica. Ovviamente sono anche perché Davigo lasci il Csm.

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