Conte non risolve l’alternativa del Diavolo
Ecco, solito set (già: il set): il podietto nel cortile di palazzo Chigi, pochi e distanziati giornalisti, Casalino, a differenza del premier, senza mascherina. E poi l’attesa, un po’ creata ad arte, un po’ per confusione, comunque mai, dicasi mai, il format va in onda prima del prime time. E poi i cdm notturni, il Parlamento coinvolto sempre dopo (meglio dire: informato del fatto compiuto). E poi il dpcm, varato cinque giorni dopo il precedente, in attesa (ahinoi) del prossimo. Ecco, perché questa istantanea è importante: perché evoca marzo, aprile e maggio, solo che siamo a ottobre. Evoca quando eravamo impreparati (ed era legittimo), adesso è evidente che sono passati mesi invano. Ma, alla fine, sempre lì si torna: alla necessità della stretta che già evoca la successiva come in un piano inclinato.
La notizia è la velocità con cui è annunciata, che, per gli amanti dei paragoni, non ha nulla della gravitas del discorso di Macron, un discorso al paese sul paese, denso di tensione politica. Conte parla quindici minuti, senza emotività, linguaggio burocratico, come fosse una comunicazione di servizio, il più neutro possibile: questo è aperto, questo è chiuso, questo è consentito, questo no a meno “salvo sussistenza di motivate ragioni”. Non un atto politico, carico di profondità, ma un regolamento che si aggiorna di volta di volta. L’eccezionale è cioè diventato così normale, così istituzionalizzato, la forma della politica nella fase attuale, che basta elencare permessi e divieti. E il motivo si capisce: essendo il nuovo dpcm frutto di una tesa ed estenuante mediazione, oltre l’essenziale è difficile spingersi, così difficile che, tra ciò che c’è e ciò che manca, è fragorosa l’assenza dei “perché” delle scelte, ovvero un accenno minimo a un discorso di verità sul paese e sulla necessità delle misure, rispetto a quelle varate pochi giorni fa: le evidenze scientifiche, i ritardi, gli obiettivi, il quadro di compatibilità possibile Ai limiti dell’omissione su ciò che evidentemente non è andato – i tamponi, il tracciamento, le file, le mancate assunzioni dei medici – coperti dall’autocompiacimento sulle mascherine distribuite in massa e sui tanti “abbiamo fatto”.
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