Coprifuoco in Lombardia, i dati su contagi e terapie intensive che hanno convinto Fontana e i sindaci

di Stefano Landi

MILANO — Stavolta hanno deciso i numeri. Al tavolo con il governatore Attilio Fontana ci sono i sindaci lombardi. Hanno in mano i report che il Cts regionale ha elaborato. Gli scenari virano al brutto: si parla di un orizzonte di 600 persone, dai 113 di oggi, in rianimazione entro fine mese e di 4 mila ricoverati negli altri reparti Covid.

Non c’è molto da discutere e nasce la stretta rispetto alla «strettina» del Dpcm.

Una decisione che ha due facce. Per la politica è coraggiosa, sofferta per gli asset sociali, ma necessaria. Per i tecnici che da giorni battono i numeri sul tavolo, è meglio di niente. Perché avrebbero voluto di più: «Ora non c’è un minuto da perdere e serve cambiare marcia. Mi chiedo se possa bastare chiudere la città per un quarto di giornata, quella tra l’altro meno trafficata — dice Antonio Pesenti, coordinatore dell’unità di crisi lombarda per le rianimazioni —. In Germania, Angela Merkel è andata in tv e ha chiesto a tutti di stare a casa. Solo che qui se lo dico solo io non mi crede nessuno».

Ma la richiesta di coprifuoco, partita dalla Regione e avallata da tutti i sindaci, è comunque una scelta coraggiosa, perché in anticipo rispetto ad altre regioni dove il contagio corre proporzionalmente anche più veloce.

Ma è la densità abitativa di una metropoli come Milano, con l’Rt lievitato negli ultimi giorni fino a 2,34, a fare paura e non consentire rinvii. Un dato, quello che traccia la velocità del contagio che si riferisce a mercoledì scorso e che quindi è destinato a salire. Così nasce la decisione, sommando tanti e troppi punti critici.

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