Coronavirus, e ora l’Italia si scopre federalista

di BRUNO VESPA

Operare l’Italia del Covid in laparoscopia con l’anestesia ridotta al minimo indispensabile o aprire il corpo del paziente e prevedere una lunga convalescenza? Oggi probabilmente verrà superata la soglia psicologica dei ventimila casi giornalieri (circa 17mila se togliamo i tamponi ripetuti più volte alla stessa persona) La situazione è seria, ma non paragonabile con quella di marzo. In Lombardia i ricoverati in terapia intensiva erano 1600 a marzo e 1400 ad aprile. Ieri erano 184 su 990 posti disponibili. La Campania, di cui ieri il governatore De Luca ha chiesto la chiusura totale, ha 98 ricoverati in terapia intensiva su 527 posti disponibili.

Nel Lazio, terza regione critica, 135 su 747 posti. In tutta Italia i ricoverati in questi reparti sono 1049. Il 4 maggio, giorno della riapertura dopo due mesi di lockdown, erano 1487. E’ vero che allora i numeri erano in discesa e oggi sono in salita, ma bisogna ragionare con calma. Il 95 per cento delle persone che si presentano al pronto soccorso potrebbero essere curate a casa. Vanno lì perché a molti medici di base basta la febbre a 38 per spedirceli. Questo non può accadere. L’83 per cento delle persone che muoiono avevano tra le due e le tre patologie gravi (cardiopatie, tumore, diabete, obesità importante). Sono queste le persone di cui prendersi la massima cura. Occorre intervenire chirurgicamente su assembramenti e movide. Migliorare i trasporti. Ma prima di parlare di chiusure generalizzate, occorre fare attenzione ai costi che questo comporterebbe. Abbiamo i soldi per ripagare tutti? Già adesso, senza le chiusure, è scontato l’aggravarsi della crisi socioeconomica all’inizio dell’anno prossimo. Quale rivolta sociale dovremmo attenderci dove si chiudesse tutto tranne l’ “indispensabile”?

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