Qualcuno a cui dare la colpa
Sapremo presto se a Napoli, venerdì sera, fossero in azione criminali, ultrà violenti e frange dell’ultradestra. Guardandoli in azione, ci somigliavano molto. Brutte scene, che possono disgustare, ma non devono preoccupare più di tanto.
La preoccupazione, adesso, è un’altra. È che l’insofferenza dilaghi, e assuma forme imprevedibili. La seconda ondata del Covid non era inattesa; ma è stata, psicologicamente, pesante quanto la prima. Forse di più. In primavera ci sembrava d’essere stati colpiti da un fulmine: il primo Paese fuori dall’Asia a essere colpito dal virus, la prima democrazia alle prese con la paura e il lockdown. Ma noi italiani diamo il meglio nelle emergenze, che richiedono resilienza, reti sociali e intraprendenza. E l’abbiamo confermato.
Siamo meno bravi nella gestione e nella programmazione: e abbiamo confermato anche quello. Abbiamo sprecato mesi. I medici di famiglia andavano riorganizzati (perché non affidargli i tamponi?), i trasporti ripensati, le scuole riprogrammate: altro che banchi a rotelle. Il ritorno autunnale del virus, comune a tutta Europa, non ci ha del tutto sorpreso, ma ci ha spiazzato. E a quel punto è scattata l’insofferenza: come, ancora?
Se dovessi scrivere il sommario delle settimane che verranno, direi: siamo alla ricerca di qualcuno cui dare la colpa. È una ricerca diversa, a seconda del carattere e delle circostanze (personali, familiari, professionali). Spesso avviene in modo inconsapevole: però avviene. Ci dev’essere un colpevole, un responsabile, qualcuno che avrebbe dovuto fare qualcosa e non l’ha fatto! In realtà c’è, ogni tanto; ma spesso non c’è.
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