Un Paese sospeso aspettando il lockdown. Se non si può evitare, facciamolo subito
di PIERFRANCESCO DE ROBERTIS
“Quello che devi fare fallo presto”. Mancavano tre giorni a una Pasqua di molti anni fa, e così un giovane predicatore ebreo si rivolse a uno dei dodici amici che erano a cena con lui. Ascoltate queste parole, Giuda Iscariota uscì dal cenacolo e andò verso il tempio per incassare i trenta denari. Quando ormai un fatto appare come inevitabile, l’attesa ne aumenta gli effetti negativi ed è il caso di fare presto. E’ una legge della vita, valida da sempre.
Così adesso questa strano indugio per qualcosa che abbiamo compreso capiterà, questa drole de guerre al nuovo lockdown, nazionale o regionale che sia, accresce in tutti l’angoscia. Una mancanza di chiarezza micidiale per una serrata prima minacciata, poi esclusa, poi buttata là a pezzetti che accresce la paura e già di per sé produce danni. Prendete il Natale, inteso come industria, evento da un paio di miliardi di fatturato: è tutto fermo. Un vedo-non vedo, quello del governo sul lockdown, che potrebbe anche apparire una sottile strategia comunicativa: verrà il giorno in cui Conte lo dichiarerà e allora sembrerà una liberazione. “Finalmente”, dirà qualcuno. “Meno male”. Applausi.
Ieri è stato il ministro Enzo Amendola, uno che apre bocca solo quando ha qualcosa da dire, che parlando di lockdown ha spiegato “faremo di tutto per escluderlo, ma se sarà necessario ci assumeremo l’onere della scelta, così come abbiamo fatto a marzo”. Un modo per dire che il “tutti a casa” certamente ci sarà, si tratta solamente di stabilirne i tempi e le forme. Magari iniziando a chiamarlo con un altro nome, strategia che in Italia ha sempre funzionato dai tempi in cui con un referendum fu abolito il ministero dell’Agricoltura per far nascere il giorno dopo quello delle Politiche agricole. Adesso il modo dolce per identificare il lockdown è “scenario 4”.
Pages: 1 2