Lockdown, non più se ma come e quando
Il problema non è il se, ma il come e il quando. Il governo è pienamente avviato verso un nuovo giro di restrizioni per arginare la marea dei contagi. Oggi 31.084, in cinque giorni, da lunedì, quasi 122 mila, per un trend in continua ascesa e che non vede segnali di inversione, con la prospettiva di arrivare venerdì prossimo a sfiorare una cifra doppia. E’ per questo che al governo si ragiona non più sull’opportunità o meno di procedere a un ulteriore giro di vite, ma come farlo.
Le strade aperte davanti a Giuseppe Conte sono tre. La prima prevede il lockdown, probabilmente non tetragono come quello della scorsa primavera, ma poco ci manca. Le misure sono quelle previste dal quarto scenario dello studio dell’Istituto superiore di sanità: chiusura delle scuole, ulteriori limitazioni se non chiusura di bar e ristoranti, chiusura di altre categorie di attività commerciali, possibili limiti alla mobilità regionale, limitazione di contatti sociali. La seconda un massiccio intervento per determinare zone rosse locali, a livello comunale, provinciale e in extrema ratio regionale. Zone limitate a cui applicare un dispositivo di norme da lockdown, dalle quali non si potrebbe uscire se non per comprovate esigenze di necessità. La terza prevede un mix delle prime due: un’ulteriore stretta, ma più morbida, nell’intero Paese unita alla creazione di zone rosse territoriali.
Nel governo la situazione è accesa. Conte è stato costretto a convocare un vertice con i capidelegazione e Lucia Azzolina dedicato alle scuole. Mentre la ministra dell’Istruzione, supportata dal Movimento 5 stelle e da Italia viva, impugnerebbe senza esitare le ordinanze regionali ulteriormente restrittive sulle classi poste in didattica a distanza e non vuol sentir parlare di uno stop a livello nazionale, per il Partito democratico e per Roberto Speranza l’asticella è stata ormai superata, e andrebbero al contrario incentivati i governatori delle Regioni più a rischio a procedere in tal senso.
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