Terapie intensive, in Italia sono sempre più piene di pazienti Covid: «Punto critico a metà novembre»
La forza di una catena è data dal suo anello debole. Lo ripete spesso Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità. E in questa catena chiamata Covid, l’anello debole sono proprio loro, le terapie intensive. Con il rischio che i posti disponibili finiscano, lasciando fuori non solo altri malati Covid ma anche chi è vittima di altre sciagure diverse, un infarto o un incidente stradale. Uno scenario drammatico, anche se per ora solo potenziale. E soprattutto il vero motivo per cui il governo, non solo quello italiano, ha scelto e potrebbe scegliere di nuovo la strada del lockdown, con tutte le conseguenze economiche che comporta. E che purtroppo sono tutt’altro che potenziali, ma già in mezzo a noi.
I numeri (la foto)
A prima vista i numeri non sembrano così drammatici. I pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva sono 1.843. Considerando i 7.123 posti disponibili siamo al 25,8% della capienza. Prendendo come riferimento gli 8.939 posti che possono essere attivati in caso di necessità, con i ventilatori polmonari, scendiamo al 20,6%. Considerando poi i 10.300 ai quali si potrebbe arrivare con un’ulteriore tranche di ventilatori, il tasso di occupazione scende sotto il 18%. Tutto bene? Insomma.
I limiti
Un po’ perché in quei dati ci sono solo i pazienti Covid, non gli altri. Era stato stabilito che ai pazienti Covid andasse riservato solo il 30% dei letti in terapia intensiva, proprio per lasciare posto anche alle altre malattie che non vanno certo in lockdown. Ma questo limite è già saltato in diversi ospedali. Non solo. Perché una cosa sono i letti disponibili, un’altra il personale necessario per farli funzionare. Secondo un sindacato degli anestesisti, Aaroi-Emac, con gli organici di adesso possono funzionare solo i 7 mila posti disponibili oggi. Ma il vero problema è un altro: una cosa è la fotografia, un’altra il film.
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