Un rinvio non fa primavera. La cassa Covid non basta per evitare i licenziamenti

di Valentina Conte

ROMA — Il primo giorno di primavera sarà l’ultimo col divieto di licenziare. Il prossimo 21 marzo scadrà lo stop straordinario in corso dal 23 febbraio. Tredici mesi di blocco per Covid, storici per l’Italia, unicum in Europa. Da quel momento – anche le aziende ancora in Cassa integrazione Covid, gratis per tutte, a prescindere dalle perdite di fatturato, dopo il faticoso accordo tra governo e parti sociali di venerdì – potranno rivedere il perimetro del loro personale.


Come funziona

Il 21 marzo 2021 diventa dunque una data spartiacque. Le 12 nuove settimane di Cig Covid, tutte a carico dello Stato, possono essere usufruite dall’1 gennaio al 31 maggio. Ma se usate di seguito, si esauriscono il 21 marzo, dodicesima domenica dell’anno. Le aziende che vanno oltre, spalmando la Cassa anche su aprile e maggio, devono astenersi dal licenziare, ma solo fino al 21 marzo. Dopo no. Stessa sorte per le imprese che scelgono in continuità la Cig Covid e la finiscono il 21 marzo. Dopo, se hanno necessità, possono proseguire con la Cig ordinaria. In entrambe le situazioni – senza o con Cig ordinaria – possono sbloccare i licenziamenti. Ecco dunque tre casi in cui dal 21 marzo si tornerà a licenziare.


Le deroghe

Il divieto di licenziare ha però tre eccezioni, introdotte dal decreto Agosto. Si può licenziare, già ora, in presenza di accordi collettivi azienda-sindacati per uscite volontarie dei lavoratori. In caso di cessazione dell’attività. O di fallimento dell’azienda. Il blocco dei licenziamenti è poi generale: vale e varrà fino al 21 marzo 2021 anche per le aziende che fanno a meno degli ammortizzatori sociali. Il solo fatto che esista una Cig Covid a cui accedere in caso di bisogno impedisce loro di cacciare i dipendenti fintanto che c’è lo stop.

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