“La pazzia sta esplodendo, la gente è a pezzi”. Intervista ad Aurelio Picca
Arriva a pranzo alla trattoria delle corse, a un passo dall’ippodromo di Capannelle, quarantacinque minuti dopo l’orario dell’appuntamento, quando la cucina è quasi chiusa e ai tavoli non è rimasto nessuno: “Mejo no? Così siamo soli e possiamo parlare senza rompicojoni intorno”. Aurelio Picca è arrivato a Roma dai Castelli: “Il posto in cui la mia famiglia vive da sempre”. Ordina carne e vino fermo: “Ti prego, però, non portarmi quei rossi di mo’, antipatici” dice al cameriere. Poi, assaggia e pronuncia la sentenza: “Mmmm…. non è cattivo… non è cattivo…”. Il cameriere la prende male. “Ma che è ‘sta faccia? Guarda che è il massimo del complimento che te posso fa’”.
Il più grande criminale di Roma è stato amico mio (Bompiani), l’ultimo romanzo di Aurelio Picca, è stato candidato al Premio Strega da Edoardo Nesi, uno che l’ha vinto, con entusiasmo e invidia: “Vorrei averla raccontata io, quella vita che sfugge via dalle mani”, ha scritto. I critici italiani hanno parlato di un libro che tocca la “grandezza” (Luca Doninelli), “sacro” (Massimo Onofri), un romanzo che “fa sembrare letteratura per signorini quella delle firme alla moda” (Goffredo Fofi). In altre parole, Picca è un avvenimento della letteratura italiana.
“In Francia hanno messo sulla copertina del romanzo la foto in cui tengo la rivoltella puntata contro l’obiettivo. La scattò un mio amico molti anni fa. Vogliono vendermi come lo scrittore maledetto italiano. L’unico maledetto italiano. Che te devo di’? Io ‘li lascio fa’”. Ha il fisico per sostenere il marchio: sessant’anni, magro, lunga giacca di pelle nera, maglione a collo alto scuro. Ha le parole: solo vita e morte, bene e male, violenza e tenerezza, nulla che non sia essenziale. Eppure, Picca non è un animale che si addomestica facilmente nel cliché.
“Il mondo sembrava controllato e controllabile. Poi è arrivato il virus e abbiamo scoperto che tutto in realtà ci sfugge di mano. Le merci non possono più circolare tanto liberamente. Non sai più quando prenoterà il prossimo viaggio. Credevi di essere connesso ventiquattr’ore su ventiquattro e, invece, durante la riunione Zoom ti crolla internet. La gente sta andando fuori di testa. Non era pronta a entrare in contatto con la propria fragilità. Anni e anni di culto della vittoria e del successo hanno rimosso la debolezza dalla scena mentale. Oggi sta tornando a galla tutta in una volta. Trovarsela di fronte all’improvviso è sconvolgente. La pazzia sta esplodendo. Io la sento: non la pazzia che crea, la pazzia che disturba. La gente è a pezzi. Tutti i frammenti della realtà che non volevamo vedere, e che abbiamo nascosto sotto terra, stanno venendo fuori in maniera violenta”.
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