Gigi Proietti, maestro dello sketch, il simbolo della romanità migliore

di Pierluigi Battista

Gigi Proietti, maestro dello sketch, il simbolo della romanità migliore

Gigi Proietti morto lunedì mattina, nel giorno del suo 80esimo compleanno — non era solo uno straordinario raccontatore di barzellette, forse il più raffinato interprete di questa arte, ma della barzelletta aveva il culto, ne cercava la genealogia, la propagazione, le varianti regionali e dialettali. Ammirava la barzelletta come racconto concentrato, come breve narrazione, un congegno perfetto da recitare con gusto, passione e maestria. E la stessa barzelletta, anche se raccontata migliaia di volte, suscitava in lui un divertimento ogni volta nuovo e trascinante, come se avesse la freschezza sorgiva della prima volta. Gigi Proietti non smetteva mai di offrirsi negli sketch che amava di più, e tutte le volte, prima della battuta finale del «Cavaliere nero», o della telefonata in cui fa lo strozzino della madre, il grande attore doveva concedersi un attimo di esitazione per vincere la risata che, puntualmente, rischiava di sopraffarlo.

In un duetto straordinario con Renzo Arbore in cui interpretavano, insieme, il testo di una delle canzoni più celebri, “Come pioveva”, Proietti stupiva ogni volta l’uditorio per la scelta precisa dei tempi, per la sequenza di battute, di espressioni del volto, di modulazioni vocali il cui effetto comico finale riusciva a contagiare un pubblico grato. Proietti era un grande interprete del “nazional-popolare”, dando a questa definizione un po’ corriva lo spessore che si merita, un acrobata della contaminazione tra “alto” e basso”, capace di passare dalla comicità di “Febbre da cavallo” al registro della tradizione teatrale consacrata grazie alla conduzione dello scespiriano “Globe Theatre” nel cuore di Villa Borghese, una perla di cultura di cui Roma dovrebbe andare fiera, riproduzione filologicamente esatta del più famoso teatro di epoca elisabettiana.

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