Non è il 2016: Trump rieletto cambia tutto
di Beppe Severgnini
Una elezione può rivelarsi un’avventura. Illusioni e passione si combinano, ci si può cascare. Una rielezione è un matrimonio. Una scelta meditata, una decisione carica di conseguenze, dove il sentimento si mescola a un progetto. Questa è la differenza tra il voto presidenziale Usa del 2016 e questo del 2020. Se gli Stati Uniti scelgono nuovamente Donald Trump, significa che sono profondamente cambiati. Gli amici dell’America dovranno prenderne atto.
Se Donald Trump viene rieletto, significa che l’America ha perso la sua speciale innocenza, quella che in tanti ammiravamo, e ha fatto la sua fortuna. Quella che sbuca nei discorsi di Barack Obama e nelle canzoni di Bruce Springsteen, ma era presente anche nell’intuizione di Ronald Reagan o nel decoro coraggioso di John McCain. Non è questione di democratici e repubblicani, infatti. Gli uni e gli altri si sono alternati, in questo secolo, come onde lunghe dello stesso mare. Donald Trump non è un’onda, è uno tsunami.
Se Donald Trump viene rieletto, dobbiamo accettare che la società americana ha rinunciato al decoro e alla decenza cui ci aveva abituato, e neppure le armi ubique, la violenza e le prigioni piene sono riuscite a cancellare. Quella decenza e quel decoro che arrivava alla fine del film, che i ragazzi imparavano a scuola, che militari e sportivi ricordavano portandosi la mano sul cuore. Donald Trump non ha soltanto collezionato promesse mancate e bugie, favorito la famiglia, salvato amici corrotti e condannati, provocato i connazionali con la pelle più scura (Black Lives Matter). Ha diviso la nazione che avrebbe dovuto unire. L’ha fatto di proposito, con determinazione, giorno dopo giorno, vellicando i peggiori istinti dei sostenitori e irridendo gli avversari.
Se Donald Trump viene rieletto, vuol dire che gli Usa hanno scelto di voltare le spalle al pianeta. America First, forse; ma non America Alone. L’isolazionismo è stato la regola, non l’eccezione, in due secoli e mezzo di storia. Ma il mondo non è più quello di George Washington o Thomas Jefferson. Ormai condividiamo tutto: viaggi e ambiente, virus e commerci, religioni e modelli urbani, social e serie tivù. L’idea di fare da soli non è solo ingenua: è pericolosa. La vulgata secondo cui il protezionista Trump «ha spinto l’economia» è una leggenda. Le guerre tariffarie hanno aumentato i prezzi, i tagli fiscali hanno devastato il bilancio, la passione per petrolio e carbone somiglia a una forma di negazionismo climatico. L’atteggiamento verso l’Europa — in bilico tra disinteresse e disprezzo — appare offensivo e miope.
Se Donald Trump viene rieletto, significa che the American dream, così come l’abbiamo conosciuto, è finito. Il sogno americano è quello che ha spinto persone di tutto al mondo a cercare una vita migliore in una terra nuova. Molti l’hanno trovata, magari non subito, magari dopo una o due generazioni. L’immigrazione negli Usa non è solo un tema di discussione, come in altri Paesi: è la ragione d’essere della nazione, fin dalle origini. L’apporto dei nuovi arrivati — dai tedeschi del Minnesota agli italiani del New Jersey, dagli ebrei di New York agli indiani della Silicon Valley — si è rivelato decisivo. L’America bianca adesso ha paura del capolavoro che ha creato? Sarebbe assurdo.
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