Serve un po’ di inflazione per uscire da questa montagna di debito

Tutti e tre questi ingredienti sono necessari per abbattere il debito pubblico. Il rientro dal debito pubblico della seconda guerra mondiale da parte delle potenze vincitrici (Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia) ci offre un interessante spunto storico: in tutti questi paesi il debito pubblico rapportato al PIL era oltre 100 nell’immediato dopoguerra, ci sono voluti dai venti ai trenta anni per tornare ai livelli pre-guerra, la crescita è stata sostenuta (in alcuni paesi in media anche sopra il 4%), l’inflazione stabile al 5%, i tassi di interesse reali negativi (anche -2%), il saldo primario attorno al 2%. Secondo alcune stime, nel caso del debito pubblico americano, l’inflazione elevata avrebbe contribuito ad abbattere il debito pubblico in rapporto al PIL nella misura di quindici-venti punti in percentuale.

La storia ci suggerisce che sul fronte del saldo primario non possiamo fare molto di più di quello che stiamo facendo e che la crescita che potremo ottenere rischia di non essere all’altezza delle necessità. Ci manca l’inflazione che oggi addirittura è in territorio negativo con una diminuzione dei prezzi a livello europeo negli ultimi tre mesi (deflazione). A conferma di questa indicazione, alcuni recenti studi hanno mostrato che innalzando in modo permanente di cinque punti (passando quindi dal 2% al 7%) il tasso di inflazione obiettivo della Banca Centrale si potrebbe ridurre il debito pubblico italiano di circa venti punti in percentuale.

Il vero problema è che l’inflazione non è una strada facilmente percorribile per almeno tre motivi. In primo luogo è impossibile con l’attuale governance europea. Il trattato europeo (articolo 127) assegna alla BCE il compito di mantenere la stabilità dei prezzi (un’inflazione prossima al 2%). Senza cambiare questo punto – che è il cardine della politica monetaria europea – non avremo un livello di inflazione soddisfacente.

Ci sono due ulteriori ostacoli sulla nostra strada. È difficile per la BCE iniettare moneta nei diversi paesi in modo selettivo per raggiungere diversi livelli di inflazione a seconda delle esigenze di abbattimento del debito pubblico. Un livello elevato di inflazione omogeneo a livello dell’area euro sembra essere l’unica strada praticabile ma pone problemi politici difficili da risolvere in quanto i diversi paesi hanno un livello di debito pubblico diverso: perché la Germania dovrebbe accettare un livello di inflazione elevato per abbattere il debito pubblico italiano?

C’è infine un problema tecnico davvero difficile da affrontare: nell’attuale assetto economico mondiale, con i paesi emergenti in rapida crescita e senza vincoli sui movimenti di capitale, è assai difficile creare inflazione. L’esperienza del Giappone – con la banca centrale che ha inondato l’economia di liquidità senza successo – insegna ma anche la BCE si è ritrovata con le armi spuntate: nonostante l’acquisto di titoli in ingente quantità e un bilancio gonfiato a dismisura, negli ultimi dieci anni l’inflazione raramente si è avvicinata all’obiettivo del 2%. Difficile pensare che si possa arrivare al 6-7%. 

La sensazione è che per affrontare in modo efficace il problema del debito pubblico nell’area euro occorrerà mettere mano alla governance europea e al funzionamento dei mercati dei capitali. Un tema che non è assolutamente nell’agenda europea.

L’HUFFPOST

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