Stati Uniti: democrazia alla prova più difficile

di   Walter Veltroni

Tra onde annunciate e miraggi attesi, le une blu e gli altri rossi, la complicata e farraginosa macchina elettorale Usa sta per mettere fine alle più pazze elezioni del dopoguerra americano. Con un presidente in carica che twitta che bisogna bloccare lo scrutinio e manda suoi uomini nelle sedi dei conteggi. In un articolo del tre settembre avevamo paventato questo rischio. Il pericolo che le elezioni, senza un risultato clamorosamente inequivoco, potesse produrre una reazione come quella che puntualmente Trump ha messo in atto, era nell’ordine delle cose. La democrazia americana ha dato in questi giorni una prova, al tempo stesso, di forza e di fragilità. La forza sta nella partecipazione straordinaria al voto: 170 milioni di persone hanno espresso il loro consenso, il 67% degli aventi diritto. Una cifra molto più alta di quella che si registra ormai in elezioni politiche nel vecchio continente. È la percentuale più elevata degli ultimi cento anni.

Il sistema politico americano dimostra ancora una sua vitalità. I due partiti, gli stessi da sempre o quasi, riescono ad assorbire dentro di sé le differenze anche più marcate. Sanders e Biden sono certo più lontani tra loro di quanto siano esponenti politici, nei sistemi europei e anche in quello italiano, che hanno costituito partiti che popolano affollati sistemi politici e difficili composizioni governative.

La fragilità è in un meccanismo elettorale che ormai, con il mosaico dei grandi elettori, genera facilmente un’anomalia. La stessa del 2000. Un condominio della Florida o il piccolo Nevada finiscono con l’essere più importanti del voto popolare. Non dimentichiamo mai che negli ultimi venti anni, con l’eccezione di John Kerry, i candidati democratici hanno sempre avuto il primato assoluto dei suffragi espressi. E, nonostante questo, in due occasioni il presidente eletto è stato un repubblicano. So bene le ragioni che hanno portato i costituenti a usare il meccanismo dei grandi elettori per tenere unito uno Stato così grande e costituito da realtà tanto diverse. Ma non c’è dubbio che ora questo meccanismo sia inceppato e la situazione nella quale ci troviamo, sei Stati che non forniscono un risultato certo, non è solo la fotografia di un Paese polarizzato, ma di un sistema incerto.

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