L’appello di Zaia: “Conte deve ascoltare le Regioni”

Luca Sablone

L’ultimo Dpcm è finito nella bufera. Molti governatori fin da subito hanno sollevato infiniti dubbi, denunciando una realtà che nei giorni scorsi ha provocato reazioni furibonde: “I dati sono vecchi”.

Sostengono che la decisione del governo di dividere l’Italia in tre aree di pericolo sia basata su numeri non aggiornati e non coerenti con l’attuale situazione. Il collocamento di una Regione all’interno di una zona verrà determinato da 21 parametri, tra cui l’indice di trasmissibilità Rt, il numero dei focolai, l’occupazione dei posti letto negli ospedali, il numero dei ricoveri e la percentuale dei tamponi positivi. Il Comitato tecnico-scientifico si occuperà di monitorare settimanalmente il quadro di ogni territorio. Ad aver espresso perplessità in merito è stato anche Luca Zaia, che all’inizio aveva visto di buon occhio questo sistema: “Nate come strumento di analisi per le Regioni, le fasce sono diventate nottetempo un sistema di classificazione dei territori. Erano un aiuto, si sono trasformate in un giudizio, con un punto debole: manca il contraddittorio tra le parti”.

Dunque a suo parere proprio da qui nascono i conflitti. Il Veneto chiede che alcuni parametri vengano modificati perché, ad esempio, l’incidenza dei positivi sul numero dei tamponi non tiene conto dei test rapidi: “Ne facciamo 10mila al giorno, come si fa a non inserirli nella base di calcolo? Non parliamo di una formula matematica dall’esito infallibile, ci sono ampi margini di discrezionalità”. Recentemente è saltato fuori più di un sospetto sulla possibilità che qualche Regione possa truccare i dati ma, spiega, in Veneto ciò non è possibile perché “ad occuparsi dei dati sono tecnici che non mediano con la politica”. “Nascondere i numeri in una pandemia, comunque, è come nascondere la polvere sotto il tappeto: puoi dire che tutto va bene, ma se poi gli ospedali scoppiano è dura far finta di nulla”, ha tuonato contro qualche suo collega.

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