Il cattivo esempio di Trump. Bisogna saper perdere per essere forti
di ALESSANDRO MILAN
Circolano sui social spassose parodie sulla incapacità di Donald Trump di riconoscere la vittoria a Joe Biden. In uno di questi video, un sosia del presidente americano è intento a giocare con un gruppo di bambini all’interno della Casa Bianca e quando gli dicono che è ora di andare lui comincia a protestare, poi si mette a piangere, infine si getta per terra in preda a una crisi isterica, aggrappandosi agli oggetti pur di non essere trascinato via.
Trump è rappresentato come quei bambini al campetto che, al momento della sostituzione, se ne vanno portando con sé la palla. Sia ben chiaro, è suo diritto, in caso di sospetti di brogli, fare tutti i ricorsi consentiti dalla legge.
Ma lui esagera: va in tv e afferma ‘ho vinto io’, una frase che non ha alcun fondamento di verità, e costringe i giornalisti americani a togliergli la parola imbarazzati, perché un conto sono le opinioni, un altro i fatti.
Eppure anche il presidente americano dovrebbe sapere che le nostre vite sono puntellate da alcuni successi e molte sconfitte: una bocciatura, gli amori finiti, le delusioni professionali, le perdite dolorose, inciampi continui e ripetuti che servono a sentirci sempre più granitici, abituati al dolore, proprio perché talvolta lo abbiamo attraversato e abbiamo imparato a gestirlo. Per carità, Trump non è il primo politico a non accettare di aver perso. Giuseppe Saragat, prima di diventare presidente della Repubblica, diede la colpa della sconfitta dei socialisti nel 1953 al “destino cieco e baro”. Anche in tempi più recenti, non abbondano i leader di partito che all’indomani delle elezioni riconoscono la sconfitta. Trump però assume un tono capriccioso e, a tratti, irresponsabile: sostiene di aver vinto, e anche di gran lunga, considerando di fatto ogni altra opzione un furto, con tutto quello che ne può conseguire in termini di reazione, speriamo non violenta, dei suoi sostenitori. Come convincerlo del contrario?
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