Il lungo inverno dell’Italia
Con l’arrivo della seconda ondata della pandemia di coronavirus, l’Italia si è trovata ancora una volta sopraffatta dall’incremento dei contagi e dal graduale riempimento degli ospedali, in una situazione che appare tristemente simile – se non addirittura peggiore – a quella vissuta nella scorsa primavera. Questo scenario, di conseguenza, ha obbligato dapprima le regioni e quindi il governo italiano a mettere in atto una nuova serie di restrizioni volte a limitare la diffusione del contagio. Soluzioni che, gradualmente, stanno sempre prendendo però la forma della strategia già messa in atto lo scorso marzo e che aveva condotto dapprima ad un parziale e quindi ad una totale chiusura delle attività considerate “non essenziali”.
Entrare in lockdown – anche se questa volta il termine non è stato utilizzato – è però una misura limite, poiché genera tutta una serie di conseguenze sia sull’apparato economico sia sulla vita dei cittadini che è tutt’altro che di secondo rilievo. Soprattutto se attuato per una seconda, soprattutto se attuato su un’economia quanto mai fragile e soprattutto se attuata su delle persone che sono già state profondamente provate dalle lunghe giornate della scorsa primavera.
L’Italia entra in letargo, ma le scorte sono sufficienti?
Quando lo scorso marzo il presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte annunciò l’estensione della zona rossa a tutta Italia, la situazione dentro alla quale ci stavamo addentrando aveva il sapore di qualcosa di epocale. Nessuno sapeva a che cosa saremmo andati incontro e nessuno conosceva appieno i rischi e le criticità che l’ingresso in questa forma di “letargo” avrebbe generato. certo, che l’economia del Paese subisse un forte rallentamento era di pubblico dominio, ma nessuno si sarebbe aspettato – o meglio, avrebbe sperato – che a pochi mesi di distanza la situazione si sarebbe ripresentata pressoché identica.
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