Sanità in tilt. E la colpa non è solo del virus

di RAFFAELE MARMO

Gli allarmi dai toni drammatici e gli appelli accorati per un nuovo lockdown nazionale di medici e infermieri sono il segnale più preoccupante del contagio che dilaga. Ma, prima ancora, sono la prova finale, se mai ve ne fosse bisogno, del tracollo del nostro sistema sanitario nazionale. E, in questo senso, sono l’atto d’accusa principale delle gravissime e colpevoli inadempienze compiute dalla politica tra la prima e la seconda ondata. Governo e, soprattutto, regioni hanno sprecato la pausa che il Coronavirus ci ha concesso tra maggio e settembre: gli inutili banchi a rotelle resteranno come la cifra del fallimento delle nostre istituzioni.

La piena, invece, è arrivata e, giorno dopo giorno, ha travolto le fragili barriere di un sistema sanitario disorganizzato, mal gestito, privo di quelle indispensabili dighe anti-alluvione che dovevano e potevano essere costruite anche nei pochi mesi di respiro che il virus ci ha riservato.

Non è in discussione (e ci mancherebbe altro) il sacrificio e l’abnegazione del personale sanitario, dei medici di base, di quelli dei pronto soccorso o dei reparti più coinvolti dal male. Così come non è contestabile il grido di dolore che sale oggi dalle corsie e dagli ambulatori: è un grido di chi punta a salvare vite umane non più o non solo con i mezzi della scienza medica, ma con quelli della logistica umana.

Dunque, è un grido che mette sotto accusa proprio l’incapacità di prevedere e provvedere di ministri e governatori che potevano e dovevano agire per rafforzare la rete territoriale della medicina di base per evitare gli assalti agli ospedali, assumere a raffica, in Italia e anche all’estero, le professionalità mancanti e dotare le strutture ospedaliere delle attrezzature necessarie per curare i casi più gravi.

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