Più chiusure possibili, dai negozi alle strade: la spinta del governo (senza un nuovo Dpcm)

Il segnale dell’urgenza lo ha dato il presidente dell’Iss Brusaferro, quando ha lanciato l’allarme sulle «gialle» Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Campania, quattro regioni dove è «opportuno che siano anticipate le misure più restrittive». Per tutta la giornata Speranza e Boccia hanno incalzato Bonaccini, Fedriga, Zaia e De Luca, per convincerli a far scattare oggi stesso chiusure rigide. E i governatori hanno capito il messaggio: «Con un indice Rt sopra 1,5 basta un niente e ci si ritrova in zona rossa».

Per evitare assembramenti i sindaci possono agire sulla base del Dpcm, che affida loro il potere di chiudere intere aree di città e paesi. Il testo prevede che si debba garantire «l’accesso a negozi e abitazioni», ma l’ipotesi esplorata in queste ore è lasciare il passaggio verso le sole case private. Anche sulla scuola è battaglia, perché alcuni ministri e governatori vorrebbero sospendere le lezioni in presenza anche nel primo ciclo, mentre la ministra Lucia Azzolina resta «categoricamente contraria».

Per quanto contestato, il modello del monitoraggio ha portato in soli cinque giorni al lockdown delle «rosse» Lombardia, Valle d’Aosta, Piemonte, Calabria e Alto Adige e al passaggio all’arancione di Sicilia, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Umbria, Toscana, Liguria. Proprio quel che Speranza si augurava, convinto com’è che per battere il virus «bisogna limitare il più possibile gli assembramenti».
L’accelerazione del governo si basa su presupposti scientifici, ma potrebbe presto avere conseguenze politiche. Conte si è convinto della necessità di modificare il titolo V della Costituzione e inserire la «clausola di supremazia» dello Stato sulle Regioni. Una riforma che consentirebbe di scongiurare le polemiche (come quelle che hanno scandito l’emergenza) e ridurre le tensioni, che hanno segnato anche la giornata di ieri.

CORRIERE.IT

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