Intervista a Giulio Tremonti: “Non vi illudete, Biden non è il vaccino del sovranismo”

Professore, io tornerei al 2020. E a questa elezione storica, in termini di partecipazione, contrapposizione, divisione del tessuto sociale. Non capisco la lettura che ne dà.

Perché parlo di crisi della globalizzazione? La pandemia ne ha hackerato il software, il meccano positivo e progressivo. Nella torre di Babele la divinità toglie la lingua unica. La pandemia ha tolto il pensiero unico. Per questo ritengo che non abbia vinto Biden se per vittoria dei democratici intendi il ritorno della ideologia della globalizzazione.

Beh, insomma, le parole d’ordine mi sembrano opposte.

La campagna elettorale democratica è stata fortemente radicale. Ancora più radicale di quella fatta da Obama nel prospettare una società nuova: la promessa di una società diversa, la redistribuzione della ricchezza, più tasse e più spesa pubblica, assistenza sanitaria, università gratuita. Qualcuno si occupava delle origini distruggendo i monumenti, ovvero rimuovendo il passato e guardando solo al futuro.

Il trumpismo è una “parentesi” oppure è un elemento di crisi irreversibile rispetto alla tradizione democratica americana?

Quello che lei chiama trumpismo si è sviluppato nello spirito di un tempo che ha messo in crisi la globalizzazione, se vuole a partire dagli effetti della pandemia. È per questo che non credo alla fine alla fine del sovranismo. Nel senso di patria, che deriva da pater, terra nella quale riposano le ossa dei padri. In uno scenario di deglobalizzazione è una illusione che scompaiono gli elementi della tradizione e della sovranità. Fare previsioni sul futuro, come diceva qualcuno, è piuttosto difficile, ma guardi come ha reagito Wall Street al vaccino: premesso che è una borsa drogata dalla liquidità, i titoli della new economy, basici per connettere il mondo globale, sono scesi, quelli della old economy sono saliti. Ripeto, se mette da parte gli elementi di folklore, quella di Trump è stata una grande presidenza.

La penso all’opposto. Ma la domanda è: lei pensa che la nuova amministrazione non smonterà l’impianto della precedente? Perché?

Trump ha fatto riforme fondamentali: una radicale deregulation, la prima riforma fiscale fatta nell’età della globalizzazione, il blocco della discesa degli Usa verso l’Asia. Il passaggio dal multilaterale al bilaterale, i dazi per esempio sono stati lo strumento per applicare di questa visione. L’ipotesi era che l’America fosse più debole sul multilaterale, più forte nei bilaterali stile Orazi e Curiazi. Da ultimo una nuova politica estera verso il mondo arabo. Non è improbabile che tutto questo continui.

Si riferisce in particolare al rapporto con la Cina?

Il rapporto con la Cina, è abbastanza sicuro, non cambierà radicalmente. Se guarda i documenti del deep State, il tema è il confronto, se non il conflitto, se non la guerra fredda. Ci sarà una maggiore sensibilità democratica sui diritti? Non credo, non c’è stata neanche negli anni democratici. In ogni caso è molto probabile che, dato il primato del Senato sul Congresso e dato lo stallo democratico nel Senato, la “cifra” degli interventi presentati in campagna elettorale vada verso il basso. Vedo difficile che smontino la riforma fiscale o che finanzino più di tanto la spesa pubblica come promesso. I fattori di novità ci saranno, ma non quelli promessi. La nuova presidenza si dovrà confrontare con la realtà.

E questa è opinione abbastanza diffusa. Ma quali sono le novità che si aspetta? Mi sembra che la sua analisi privilegia troppo la continuità.

Ora la campagna elettorale, e dunque la propaganda, è finita e tornerà il realismo politico. Ma vedo comunque spazio per una grande novità. Il principio di un nuovo ordine mondiale. Un impianto di regole tipo Bretton Woods. Questa era l’utopia del Global legal standard, il passaggio da “free trade” al “fair trade”, l’idea cioè di risalire nelle catene di produzione introducendo regole.

Lo so, è un suo vecchio pallino.

Sono andato a rivederlo, all’articolo 4 parla di “regole ambientali e igieniche”, le dice niente, dieci anni fa? Fu affossato dalla finanza. Se guardi al mondo che c’è, veci una scissione radicale tra economia e diritto: l’economia globale è sempre più forte, il diritto è rimasto nazionale, locale, sempre più debole. Nel mondo in cui viviamo c’è una drammatica scissione tra sostanza e forma, tra struttura e sovrastruttura. Questa scissione ha causato la prima crisi del 2008, questa seconda crisi e, se non si farà nulla per rimuovere questa asimmetria, arriverà una terza crisi. Sull’ipotesi di una nuova Bretton Woods, piuttosto che sulla vecchia globalizzazione, vedo una grande chances per la presidenza democratica.

Non pensa che le elezioni americane possano avere conseguenze anche sulla salute del sovranismo europeo? Pensi al 2016, con la Brexit e le elezioni americane. Guardi ora. Sembra che la vittoria di Biden arrivi dopo un periodo in cui, in Europa, l’onda lunga sembra essersi arrestata.

Ionon vedo un automatismo. Trovo superficiale trasporre l’America sull’Europa che ha le sue specificità. Mentre i democratici celebravano la “Terza via” a Firenze, in Europa stava montando l’onda opposta. Io non vedo nei sentimenti che ci sono in Europa una magica clonazione della propaganda americana.

Mettiamola così. Il Coronavirus ha svuotato l’agenda dei sovranisti, perché il virus ha prodotto risposte sovraniste, prima ancora della politica: confini, il debito pubblico, il patto di stabilità sospeso, l’immigrazione da disciplinare perché veicolo di contagio.

Gli eurobond li ho proposti nel 2003. Erano sovranisti? Non lo so, erano giusti. Detto questo, in effetti la reazione alla pandemia ha modificato la struttura dell’Europa. L’Europa ha smesso di fare regole. Ha disapplicato il mercato, togliendo il divieto agli aiuti di Stato, ha autorizzato il debito pubblico e lo finanzia con la Bce. Di colpo si è messa mette da questo lato della storia, dal lato degli Stati. Bisogna vedere quanto dura. E io spero che duri.

Professore, in Italia il centrodestra si è disunito sulle elezioni americane: Berlusconi da un lato, Salvini dall’altro, la Meloni più moderata di Salvini. E dentro la stessa Lega Giorgetti si è congratulato.

Non vorrà mica farmi parlare di politica italiana?

Effettivamente sì, anche di quella.

Dato il carattere storico del rapporto che tutte le forze politiche italiane hanno con gli Stati uniti d’America, credo che questo rapporto non sia modificato né a destra né a sinistra. In base alla mia esperienza, se si votasse, la prospettiva di vittoria unirebbe il centrodestra molto di più di quanto è ora. Per un po’ non si vota ma è il tempo giusto per prepararsi.

Ho capito, non vuole rispondere più di tanto. Ma lei ci andrebbe all’insediamento di Biden?

Invitato dal partito repubblicano sono andato a quello di Bush e a quello di Trump. Basta così.

L’HUFFPOST

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