Alberto Genovese, Roberto Bolle chiamò la polizia la notte della violenza sessuale
Per due volte la polizia bussa alla porta di Alberto Genovese: prima che la violenza inizi e durante la feroce violenza sessuale sulla giovane modella di 18 anni. A chiamare sono due inquilini del palazzo, uno è l’ étoile della Scala Roberto Bolle, che abita al piano di sotto, esasperato dal frastuono assordante della musica della festa del milionario imprenditore mago delle startup . Gli agenti non entrano, come è consueto negli interventi per schiamazzi: la prima volta dopo aver parlato con Genovese, che abbassa la musica; la seconda vanno via perché la festa è finita e la musica ormai è stata spenta, ma proprio in quei momenti la ragazza, drogata e semi incosciente, sta subendo il calvario «nelle mani del suo aguzzino». Genovese verrà arrestato quasi un mese dopo nell’inchiesta del pm Rosaria Stagnaro coordinata dall’aggiunto Letizia Mannella.
Alle 22.40 del 10 ottobre scorso la Volante Sempione primo turno si ferma davanti a un palazzo nel pieno centro di Milano. A chiamare è stata un’inquilina «disturbata dai continui rumori molesti e della musica a volume alto», si legge nell’annotazione di servizio. Gli agenti verificano direttamente che il fracasso arriva dalla terrazza di Genovese e bussano alla porta del lussuoso apparamento con vista sul Duomo. Ad aprire è Genovese stesso che, «invitato formalmente ad abbassare il volume della musica, acconsentiva e irritato – sottolineano i poliziotti – rientrava all’interno». È evidente che lo stupro non era cominciato. La vittima, infatti, ha detto di essere entrata nella camera da letto proprio intorno a quell’ora e di aver subito assunto droga. Poco dopo un’amica la cerca, ma viene respinta da un buttafuori che sorveglia la stanza da letto.
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