Carlo Verdone, 70 anni un sacco belli: «L’erede di Sordi? Non esiste. E credo che neanche io ne avrò»
Allora quali lati caratteriali ti appartengono?
«Spero la
generosità, la premura verso gli amici o verso chi ha bisogno, la
riconoscenza, l’umiltà. E la disponibilità. Molti colleghi più giovani o
giovanissimi non conoscono la parola disponibilità».
Carlo Verdone è l’erede di Albero Sordi. Basta no?
«Sordi
non avrà mai eredi. Ma credo che anche io, alla fine della mia
carriera, non avrò mai eredi. Tutte le personalità hanno un’anima
assolutamente propria, inereditabile».
Carlo Verdone fa molto ridere. Mi sembra riduttivo.
«Non
posso dirmelo da solo. Ma mi sembra evidente che ho sempre coniugato la
risata ad un aspetto presente fin dal primo film: leggera malinconia e
poesia della solitudine. Mitomani, megalomani, fragilissimi, i miei
personaggi vivono spesso un tormento, una solitudine e un gran senso di
inadeguatezza. Ivano e Jessica di Viaggi di Nozze sono i personaggi più
soli che abbia mai creato. La battuta Nun riesco a’ individuà o’ stadio,
detta da Ivano sull’attico di un hotel fiorentino, mentre dà le spalle
alla Firenze di Giotto e Brunelleschi, è agghiacciante. Con lei,
annoiata, che mangia uno yogurt con la testa nella coppetta senza dire
una parola».
Negli Anni 50, Alberto Arbasino intervistando
Gary Cooper chiese: qual è la cosa più importante per essere un attore?
Cooper si toccò la faccia e rispose: questa. Io penso che la tua faccia
valga quanto, o di più, delle tue battute memorabili.
«Il volto è
tutto perché il cinema è fatto di primi piani. E pensare che io non
avrei dato due lire alla mia faccia. Il miracolo avviene quando il viso
si trasforma perfettamente in una maschera sul set. Credo che ci sia un
Verdone riservato, serio e un Verdone pronto a qualsiasi follia e
trasformazione. Certe volte mi stupisco anche io, perché mi sembra di
avere due personalità».
Invecchiare non fa schifo. Ma il mondo là fuori, insomma. Cosa ci resta di Un sacco bello?
«Vi
resta il film! Non c’è più nulla di quella poesia estiva in quella Roma
deserta dove ancora ascoltavi l’acqua delle fontane, le campane, le
cicale e qualche motorino smarmittato. E questo perché l’apparato umano
di quegli anni se n’è andato insieme ad una cultura di quartiere. La
poesia di quella Roma l’ho fotografata appena in tempo. Ognuno era
diverso dall’altro. Oggi molti giovani sono tutti uguali: capelli,
tatuaggi, scarpe, occhiali da sole. E spesso più incazzati. Ma il nostro
compito è osservare il cambiamento e cercare ugualmente di descriverlo e
decifrarlo».
Tu sei stato bravissimo a dirigere le donne.
«Amo
dirigere le donne perché amo le donne in quanto, secondo me, più
sensibili, spiritose e dotate di buon senso. Esser messo in difficoltà
da una donna in un film mi porta a dare il massimo come attore. Ne ho
lanciate e valorizzate tante e questo mi rende orgoglioso. Il
maschilismo sta cessando e molte attrici sono un’autentica garanzia di
successo: Cate Blanchett, Meryl Streep, Charlize Theron, Emma Stone,
Scarlett Johansson, Rooney Mara e tante altre. In Italia dobbiamo dare
più spazio alle donne perché abbiamo bisogno urgente di nuove Monica
Vitti. Paola Cortellesi c’è riuscita. Bisogna avere coraggio».
La tua attrice del cuore?
«Anna Magnani. Superba, inarrivabile, piena di anima».
L’ultimo film che ti ha colpito prima della chiusura delle sale?
«Joker.Con Joaquin Phoenix in una interpretazione gigantesca».
Il tuo film del cuore?
«Sono due: La Dolce Vita di Fellini e Sunset Boulevard di Billy Wilder».
Il
Covid sta dando un colpo di grazia al cinema così come lo abbiamo
vissuto noi. Secondo te il cinema è un mezzo di racconto arrivato al
capolinea?
«No, affatto. È il tempio dell’immagine, luogo di
aggregazione e condivisione. Quando questa tragedia finirà il pubblico
tornerà più di prima nelle sale. Ne sono convinto. Tornare a stare
insieme, pur nel silenzio, sarà una festa per l’anima che non ama la
solitudine ma la condivisione».
Nel tuo bellissimo libro di
ricordi La casa sopra i portici, hai tirato fuori una immensa tenerezza.
È la tenerezza che ci salverà? O è meglio coltivare una certa
intelligenza anche caustica?
«Ci salveranno i buoni esempi, il
rispetto per l’ambiente, l’attenzione per il prossimo e il ritorno ad
una spiritualità che stiamo perdendo. Senza spiritualità siamo persone
che esistono ma non vivono».
Sei un grande attore e un grande regista. Ma alla fine è la tua scrittura della realtà la cosa più importante.
«Dalla
scrittura parte tutto. Senza un buon copione non può nascere un bel
film o un’opera teatrale. Se ci fossero più scrittori che offrono opere
per il cinema (come avveniva una volta), noi avremmo dei film
importanti. Questo della scrittura è un problema vero».
Una curiosità. Dei tuoi tantissimi e meravigliosi personaggi quale preferisci?
«Questo
lo deve dire il pubblico. Io li amo tutti nei loro difetti e nelle loro
debolezze o mitomanie. Se c’è una sequenza che trovo perfetta è in
Gallo Cedrone, quando nelle vesti di agente immobiliare tento di
convincere Ines Nobili ad acquistare una casa miserabile e pericolante.
Era un piano sequenza di tre minuti. Fui perfetto. E rido sempre anche
io quando lo rivedo».
Essere romano è una fortuna o una responsabilità? O forse, una sciagura?
«È
una fortuna. Perché tante meraviglie non esistono in nessuna città del
mondo. Il problema è che a Roma non le si vuole più bene. Abbandonata,
senza manutenzione, quasi spenta anche di notte. È un grande museo, ma
non una città europea, purtroppo. Va risollevata in fretta!».
Mio fratello Carlo ogni tanto ti chiamava per chiederti: come stai? So che è una cosa che ti faceva effetto.
«Perché
nessuno ti chiama più per sapere come stai senza chiederti altro. È il
più grande segno di vero affetto. E Carlo, la domenica mattina, aveva
una grande sensibilità. Lo avrò sempre nel cuore come esempio di persona
dall’animo gentile ed elegante».
Hai due figli meravigliosi
che adori e che ti adorano. Per fortuna, ogni tanto, la vita e il cinema
si assomigliano. Lo vedi che la cosa è reciproca?
«Sono la vera
gioia della mia vita. Loro vengono prima di qualsiasi cosa. Ne apprezzo
l’onestà e la serietà nel loro lavoro. Non hanno mai sfruttato il loro
cognome né chiesto di alzare il telefono. Hanno fatto tutto da soli,
studiando tanto. Gli auguro di esser felici e di avere soddisfazioni
nella vita. E li ringrazio di essere sempre premurosi nei miei
confronti».
Grazie e tanti auguri Carlo.
«Grazie a te per il tempo che mi hai dedicato»
IL MESSAGGERO
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