Domenico Arcuri: Myrta Merlino, Romano Prodi, i ritardi, le grane, l’ambizione dell’uomo dai mille incarichi
Dicono che la sua polverina magica sia l’ambizione e che lui abbia da un pezzo messo nel mirino la prossima (ambitissima) poltrona, quella di Leonardo, ex Finmeccanica. Un premio, certo, ma anche una corsa contro il tempo, perché le rogne da super commissario agli approvvigionamenti per la nostra precaria salute, incarico assunto a metà marzo, sono tali da disegnare sul muro il profilo non proprio fortunato di un altro famoso Mister Wolf nazionale: Guido Bertolaso. Dieci anni fa, era lui il mago del terremoto all’Aquila, poi spedito sul G8 con il principio che ogni ritardo potesse essere curato saltando in emergenza le procedure. Si sa poi com’è andata: solo due anni fa il pupillo di Berlusconi si è liberato da un fardello di accuse e processi che ne aveva cancellato l’immagine pubblica.
Arcuri è autorizzato a riti apotropaici, ma lui per primo pare rendersi conto del problema. In una intervista rivelatrice con Federico Fubini, due mesi prima della pandemia, spiegava così l’attrazione del governo per Invitalia, l’agenzia pubblica per gli investimenti che guida dal 2007: «Abbiamo guadagnato una qualche considerazione… In giro non ce ne sono molti”, a mettere mano in “un Paese che non cresce, sempre più diseguale…».
Carlo Calenda, che usa i tweet come pasquinate, ha scritto l’altro giorno che il Covid-19 «segna la crisi definitiva dello Stato». Se ha ragione, Arcuri è un epifenomeno: beato il Paese che non ha bisogno di Mandrake. Nella sua lotta al nulla che avanza rivela, certo, propensioni politiche assai diverse da Bertolaso. La querelle che più l’ha esposto è, si sa, quella sulle mascherine da lui promesse in misura di diversi milioni di pezzi al prezzo calmierato di 50 centesimi, con l’effetto grottesco di farle scomparire dal mercato. Il nostro se n’è adontato, creando la categoria del radical chic di destra, i liberisti da talk: «Chi critica i 50 cent ha una doppia morale: per quelli che s’indignano in diretta non è mai un problema trovare una mascherina a 5 euro. Per il figlio del loro portiere, sì».
Con rivendicate simpatie «di centrosinistra», Arcuri pare una versione minore di grandi boiardi d’antan, convinto che un’ordinanza possa davvero modificare la realtà. Si dice scoperto da Romano Prodi («chiamò all’Iri dieci di noi ben laureati della Luiss») ma molti sostengono che l’incontro decisivo sia quello con Massimo D’Alema, con cui di sicuro condivide l’avversione per giornalisti e salotti intellò. Poiché al cuore non si comanda, ha condiviso invece un lungo tratto di vita sentimentale con una brava giornalista regina dei salotti, Myrta Merlino, sua ex moglie. La loro figlia diciannovenne guardava in tv gli ospiti del talk materno che massacravano la gestione sanitaria e, cambiando canale, il babbo che la rivendicava in conferenza stampa.
La difesa di Arcuri poggia sullo status quo ante: «Non avete idea di cosa abbiamo trovato», sostengono i suoi collaboratori, rovesciando la sciarada di cifre e accuse. E, guardando all’attuale teatrino dei presidenti di Regione, pare plausibile. A marzo, ragione dell’incarico ad Arcuri è stata del resto la palese difficoltà della Protezione civile, regionalizzata dopo gli anni di Bertolaso e paralizzata da un morbo diffuso negli uffici: la fuga dalle decisioni per timore di conseguenze giudiziarie (Bertolaso docet). Forse così si spiega l’ossessivo ricorso a un ambizioso kamikaze («in giro non ce ne sono molti», ricordate?). Forse, l’altra faccia di protagonismi ed eccessi è questa palude che tutto inghiotte. Insomma non si può escludere che esista un’Italia peggiore di quella con Arcuri. Quella senza.
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