Che cosa saremmo senza Natale

di MICHELE BRAMBILLA

Il 25 dicembre del 1914, sul fronte occidentale della Grande Guerra, i soldati francesi, britannici e tedeschi fecero scattare il cessate il fuoco. Nessuno diede l’ordine. Nessuna disposizione arrivò dagli alti comandi, né da re Giorgio V né dagli imperatori Guglielmo II e Francesco Giuseppe, né dal governo francese. L’ordine arrivò dai cuori dei poveri soldati, dal loro sentirsi – innanzitutto – uomini: e quindi fratelli. Uscirono dalle trincee, brindarono insieme, improvvisarono perfino una partita di calcio. Il giorno dopo, l’inutile strage riprese il suo corso. Ma quella tregua – spontanea, ribelle – è lì scolpita nella storia per ricordare sempre a tutti che cos’è il Natale. A tutti.

Della ’tregua di Natale’ non c’è traccia nei libri di storia, e chissà perché. È tuttavia un fatto reale, tramandato dai nonni ai nipoti per generazioni. L’inglese Mike Harding gli dedicò una canzone, ’Christmas 1914’; il regista francese Christian Carion un film, ’Joyeux Noël’.

Sono anni che il nostro povero occidente che non crede più a nulla cerca di abolire il Natale, o meglio di nasconderlo, di camuffarlo, di cambiargli nome, di farlo diventare una ’festa d’inverno’. “Per non offendere i credenti nelle altre religioni”, vien detto, ma è un’ipocrisia perché i credenti nelle altre religioni non s’offendono affatto se festeggiamo il Natale. Ed è anche una fesseria perché il Natale conserva una sua forza, una sua misteriosa dolcezza anche in chi cristiano non è, o lo è tiepidamente, pieno di dubbi come poi – in realtà – siam pieni tutti noi.

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