I veti sul Recovery / La vera sfida di conciliare democrazia e mercato
Due Europe, due sponde dell’Atlantico e sempre una sola Cina. Quanto emerso dall’agenda internazionale di questi giorni offre una mirabile sintesi delle questioni aperte, che la pandemia attraversa e intreccia tra loro. Nello stesso giorno in cui Emmanuel Macron rilasciava un’importante intervista che rilanciava la sua idea di Europa – una visione forte, elevata, ambiziosa – i governi reazionari di Polonia e Ungheria si mettevano di traverso all’approvazione del bilancio dell’Unione Europea, rivendicando la pretesa di poter trarre i benefici della membership europea a prescindere dalla corretta e piena adesione ai principi dello Stato di diritto.
Dall’approvazione di quel bilancio dipende anche la “tempestività” (residua) con la quale i fondi di Next Generation Europe
saranno disponibili per tutti gli Stati membri. Fondi di cui l’Italia
ha un disperato bisogno e che sono altrettanto necessari ad ungheresi e
polacchi, presi in ostaggio tanto quanto gli italiani o gli spagnoli da
Kaczynski e Orban. Alla fine la cosa si risolverà, ma nel frattempo
avremo perso tempo, posti di lavoro e vite umane anche grazie al cinismo
di questi due controversi leader centroeuropei. Neutralizzate le
opposizioni interne occorreva mettersi al riparo dalla possibile
influenza dell’Unione, nel nome della “sovranità” nazionale, utilizzata
come usbergo della propria bulimia di potere.
Il paradosso è che se le attuali Ungheria e Polonia presentassero
domanda di ammissione all’Unione se la vedrebbero semplicemente
respingere al mittente. Questa assurdità va sciolta innanzitutto
politicamente ma poi andrà affrontata istituzionalmente. Il bluff di
Varsavia e Budapest va “visto”. Altrimenti l’Unione Europea di cui parla
Macron non prenderà mai forma. Non è più possibile andare avanti con
due idee di Europa così distinte e incompatibili.
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