La mano delle cosche sull’onorata sanità
di Giuseppe Smorto
Reggio Calabria <SC2001,8212> «A Locri l’azienda sanitaria ha continuato a versare lo stipendio a un dipendente che non prestava servizio perché detenuto». Bastano due righe nascoste dentro un documento per capire come siamo arrivati allo sfascio, alla bancarotta della Calabria. Nel 2006, una commissione timbrò quello che tutti sapevano: studi medici, centri di ricerca cardiovascolare, laboratori di analisi erano di proprietà diretta o via prestanome delle famiglie storiche di ‘ndrangheta della jonica, i Nirta, gli Ursino, i Morabito. E i figli dei boss erano diventati medici, specialisti, dentisti nelle strutture pubbliche. Promossi senza incarico, premiati per paura.
Era lo scenario in cui fu ucciso nel 2005 Francesco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale, dirigente della Margherita. «Aveva denunciato tutto al Tribunale di Locri con nomi e cognomi, fogli ritrovati in un armadio a venti giorni dalla prescrizione. Intanto è arrivata la risposta, di piombo». La vedova Maria Grazia Laganà, anche lei medico ospedaliero, ha la voce rotta. Da tre anni sta al ministero della Salute, a Roma. «Mi è stato suggerito e consigliato di stare lontana da ambienti ostili. Vedere di nuovo la Calabria in prima pagina mi avvilisce, ho vissuto tutto questo sulla mia pelle. Mio marito non si occupò soltanto dell’ospedale di Locri, ma di un sistema regionale che favoriva il malaffare».
Morti ammazzati, morti di malasanità, non è forse la stessa cosa? All’ospedale di Vibo, l’unico oggi rimasto in un’area di 50 comuni, Federica Monteleone morì per un black-out in sala operatoria: aveva appena 16 anni e voleva fare la giornalista. La città aspetta da anni un nuovo, più moderno edificio. I boss intercettati da Gratteri si dicono: «Lo dobbiamo fare noi». A Bovalino, l’altro ieri, un’ambulanza è arrivata dopo un’ora: troppo tardi per una donna di 95 anni. «E ora ammazzateci tutti» fu lo slogan dei giovani calabresi dopo l’omicidio Fortugno, in un certo senso potrebbe valere anche adesso. La rabbia è qui: strutture che non funzionavano già prima del Covid, soldi a pioggia senza gare, «per la continuità del servizio». Ascensori guasti, cardiopatici portati in braccio. Maria Grazia Laganà aggiunge: «E’ anche una questione politica: è stato il centrodestra a chiudere gli ospedali, a tagliare il personale».
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