La (debole) sfida a questa Europa

Consiglierei anzi che un piano dettagliato, «armato» e credibile contro la corruzione e l’evasione fiscale costituisse il primo e corposo capitolo del «Piano italiano per la ripresa e la resilienza» da sottoporre alla UE. Ciò anche allo scopo di «sorprendere» favorevolmente i funzionari comunitari e di indurli ad una lettura, mi spingo un po’ in là, «appassionata» dei capitoli successivi).

Tornando a Budapest e Varsavia, va sottolineato che anche l’Ungheria e la Polonia hanno urgente bisogno di quei fondi europei, che potranno essere sbloccati solo se i loro governi cessano di opporsi alla condizionalità allo stato di diritto. Già, ma sono i loro cittadini e le loro imprese che ne hanno disperato bisogno. Per quei governi, evidentemente, è più importante non mettere a rischio il loro sistema di potere autocratico.

Confido che una soluzione sarà trovata, ma la Ue non può cedere su un principio così fondamentale. Piuttosto, mi sembrerebbe ragionevole (accrescendo e non riducendo l’adesione della stessa Ue allo stato di diritto) prevedere che quello Stato membro che, su proposta della Commissione, sia sanzionato dal Consiglio che riscontra violazioni dello stato di diritto e perciò dispone il blocco delle erogazioni, possa portare la questione dinanzi la Corte di giustizia della Ue.

La Ue è ormai un’entità ampia, complessa, imperfetta, ma artefice e custode di valori verso i quali forse gli stessi Stati Uniti riconvergeranno, dopo il tentativo perdente di Donald Trump di rovesciarli. E’ il luogo delle libertà, non deve essere una prigione. Nella Ue si deve poter entrare, a certe condizioni, come 22 Paesi hanno fatto, unendosi ai 6 fondatori. Dalla Ue si deve poter uscire, come un Paese ha democraticamente deciso di fare. Ma finché in questo condominio si sta, si è certo liberi di criticarne aspramente ogni aspetto, il che può aiutare i condomini a migliorare l’edificio o alcune regole condominiali ; ma non di violarne fondamentali regole in vigore.

E anche le famiglie politiche europee dovrebbero porsi all’altezza della costruzione storica che hanno creato. Non posso non osservare che il Partito Popolare Europeo — la famiglia politica che da Adenauer e De Gasperi a Kohl e alla Merkel ha forse contribuito più di ogni altra alla realizzazione del progetto europeo — coltivando nel suo seno Viktor Orbán con rari ammonimenti e molte blandizie, è riuscito ad essere ancora una volta il primo gruppo al Parlamento europeo, ma non è riuscito ad avere su di lui la minima influenza nel senso dei valori del Ppe della Ue.

Infine, una considerazione di prospettiva. Nel 2016 il Regno Unito decise di lasciare l’Ue ; negli Stati Uniti venne eletto per la prima volta un Presidente ostile all’integrazione europea, con rapporti ambigui con il Presidente russo ma nitidamente allineato a lui su tale ostilità ; sostenitore e forse finanziatore di movimenti sovranisti, a loro volta ostili alla Ue, in alcuni Paesi europei. In un grande Stato membro, l’Italia, nel 2018 due partiti allora entrambi sovranisti e allora entrambi ostili alla Ue (M5S e Lega), vinsero le elezioni e andarono al governo. Almeno uno di quei due partiti (Lega), e per un anno lo stesso governo italiano, vedevano con favore i governi populisti di Ungheria e Polonia.

Oggi, la Polonia di Kaczynski e l’Ungheria di Orbán si trovano forse un po’ disorientate. Trump non è stato rieletto, Biden è un sostenitore dell’integrazione europea, la Ue si è rafforzata, i due partiti italiani più amici di Orbán e Kaczynski sono entrambi all’opposizione (Lega e Fratelli d’Italia, il secondo però meno visceralmente avversario della Ue e più selettivo nelle sue critiche); la Russia di Putin sembra prossima ad una delicata fase di successione. Non ci sono insomma ragioni geopolitiche che debbano indurre la Ue a chinare il capo di fronte ai governanti autocratici di Budapest e Varsavia in un momento in cui sfidano, per di più da posizioni di debolezza, i principi morali e giuridici sui quali poggia la nostra e, vorremmo, la loro Europa.

CORRIERE.IT

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