La giustizia troppo lenta blocca anche l’economia (e 170 miliardi di investimenti esteri)
Se n’è discusso in un interessante webinar, venerdì scorso, dell’Osservatorio sulla produttività e il benessere della Fondazione università di Tor Vergata, presieduta da Luigi Paganetto. Essenziale, si è detto, la realizzazione di un data center unico nazionale. Illusorio pensare che tutto si risolva con una «scrivania tecnologica portatile» per magistrati e cancellieri che farebbe la fine della «lavagna multifunzionale» con la quale si pensava di aver completato la digitalizzazione della scuola. La riforma della giustizia — si è detto durante il webinar cui hanno partecipato tra gli altri Gloria Bartoli, Paola Severino, Aniello Nappi, Magda Bianco, Mario Nava, Alessandro De Nicola — è la più importante delle misure di politica industriale in Italia.
Dove funziona
Dove la giustizia è efficiente, per esempio, il credito è meno rarefatto, le imprese invogliate a investire di più nel territorio. Pesa, dal lato dell’offerta di giustizia, l’eccesso di processi che finiscono in Cassazione (per centomila casi sono cinque volte di più che in Germania). E dal lato della domanda, le troppe impugnazioni anche per questioni di scarsa rilevanza. C’è un rapporto causale — come emerge da uno studio della Banca d’Italia (Magda Bianco e Silvia Giacomelli) — fra numero di avvocati e livello del contenzioso. Jonathan Donadonibus è autore di una ricerca per Ambrosetti Club, di cui è senior consultant, su come la lotta alla corruzione e l’efficienza della macchina giudiziaria possano migliorare la competitività italiana. Ha calcolato il cosiddetto disposition time, che misura il tempo «mediamente necessario per la risoluzione di una causa a capacità produttiva costante». In primo grado, sempre per le sole cause civili e commerciali, è di 527 giorni. Secondi in Europa dopo la Grecia. Con i tre gradi di giudizio strappiamo largamente il primo posto: 7 anni e tre mesi in media, 2 mila 658 giorni. Oltre i limiti previsti dalla legge Pinto che prevede rimborsi per l’eccessiva durata dei processi. la trattativa
Recovery Fund, il grande equivoco e quel dialogo tra sordi fra Bruxelles e Roma
di Federico Fubini
Nel 2018 questo debito da inefficienza era di 328 milioni. In calo però rispetto agli anni precedenti. A dimostrazione che il sistema giudiziario è riuscito, nonostante tutto, a recuperare. Il cosiddetto clearance rate, che misura la capacità di smaltire gli arretrati, è stato nel 2018 del 101 per cento (più cause risolte di quelle nuove iscritte). Ma era del 120 per cento nel 2015.
«Occorrerebbe ritrovare — spiega Donadonibus — quello spirito e quell’impegno che hanno animato la prima parte del decennio, a maggior ragione tenendo conto degli impegni richiesti dal Next Generation Eu e con un occhio al fatto che se solo avessimo un sistema giudiziario allineato alla media europea riusciremmo ad attrarre fino a 170 miliardi di investimenti esteri oltre a un recupero sul Pil tra i 30 e i 40 miliardi». Il rapporto tra cause pendenti e giudici in organico è comunque il più alto d’Europa. Le conseguenze della prima e della seconda ondata sullo svolgimento dei processi è incalcolabile. Non esistono dati ufficiali aggiornati se non nel numero delle udienze rinviate (ma in una seduta si possono trattare più cause).
Il processo civile telematico ha certamente attutito il colpo rispetto a quanto sta accadendo sul versante penale dove le conferenze multivideo su Teams sono possibili solo se le carceri sono attrezzate. Alla Corte d’Appello di Venezia, di cui è presidente Ines Maria Luisa Marini, tra il 10 marzo e l’11 maggio, sono stati rinviati il 91 per cento dei procedimenti civili dei sette tribunali ordinari del distretto, e, tra il 12 maggio e il 30 giugno, il 37 per cento. «Ora dovremo affrontare — dice la presidente Marini — tenendo conto delle conseguenze della seconda ondata, lo tsunami di migliaia di processi rinviati che si sommeranno all’arretrato storico».
I numeri
Il decreto del 14 settembre scorso ha aumentato la pianta organica dei magistrati ordinari di 600 unità. Ma i posti ancora da coprire sono 1619. Come mancano medici e infermieri, mancano toghe che affrontino l’emergenza causata dalla pandemia che, se non gestita al meglio, potrà gravare pesantemente sulle speranze di ripresa, anche economica, del Paese. Il virus ha frenato anche i concorsi. La soluzione proposta da Marini è quella di trattenere temporaneamente in servizio chi è in età pensionabile, su base volontaria, per due anni, sino a colmare i vuoti; di accelerare l’immissione di nuovi magistrati consentendo di fare il concorso subito dopo la laurea; di ridurre il tirocinio dei giovani magistrati che è attualmente di 18 mesi. E, inoltre, di immettere eventualmente in primo grado altri giudici onorari, così da poter reintegrare le Corti d’Appello con i giudici professionali dei tribunali.
La giustizia rischia, al pari del sistema sanitario, di soffocare per troppa pressione. «Come per i malati — conclude Marini — bisogna evitare che la febbre salga a livelli letali, per esempio trattenendo in servizio i magistrati pensionabili per non rincorrerli come si fa per i medici. L’emergenza di domani sarà invece quella di far fronte a una paralisi inaccettabile per una società di diritto, dare impulso alla gestione telematica, non solo da parte dei magistrati ma anche degli amministrativi e ridurre i defatiganti iter di approvazione dei piani organizzativi da parte dei consigli giudiziari e del Csm, dando un reale potere di gestione ai capi degli uffici giudiziari». È nei momenti di emergenza che diamo il meglio di noi stessi. Speriamo sia vero anche in questo dannato 2020 in cui le conseguenze del virus, come avviene nel nostro corpo, sono sconosciute e imprevedibili anche negli organi dello Stato.
CORRIERE.IT
Pages: 1 2