Ristori, i truffatori che puntavano ai contributi del Covid: scovate irregolarità per oltre 240 milioni
di Enrico Marro
Finora l’Agenzia delle Entrate, guidata da Ernesto Maria Ruffini, ha pagato 8,2 miliardi di euro di «ristori», cioè di contributi a fondo perduto, a 2,4 milioni di partite Iva. In media, 3.416 euro a testa, da un minimo di mille a un massimo di 150mila euro in base alla perdita di fatturato. Si tratta degli indennizzi previsti dal decreto legge Rilancio del 19 maggio e dal dl Ristori 1 del 28 ottobre, cui seguiranno i contributi dei dl Ristori 2 e 3 all’esame del Senato. Provvedimenti necessari, anche se spesso insufficienti, ad aiutare piccole imprese e lavoratori autonomi messi in ginocchio dalla pandemia. E nonostante l’Agenzia vanti di aver inviato i soldi sui conti correnti entro 2 settimane dalla domanda, non sono pochi coloro che lamentano ritardi o addirittura di non aver ricevuto nulla.
I pentiti della flat tax
Il fatto è che ci sono circa 82 mila indennizzi bloccati, per un valore di 243 milioni, perché i controlli preventivi che l’Agenzia ha fatto su tutte le domande hanno portato alla luce irregolarità varie, dagli errori materiali alla mancanza dei requisiti, e purtroppo anche veri e propri sciacalli del bonus, come l’amministratore di condomini di una grande città del Nord che, nonostante fosse tra i «forfettari», cioè quelli che dichiarano meno di 65mila euro l’anno e godono della flat tax del 15%, ha avuto la sfrontatezza di dichiarare che ad aprile 2019 (il mese rispetto al quale si calcola la perdita ad aprile 2020) aveva fatturato più di un milione di euro, manco avesse gestito gli immobili di tutta la città, tentando di ottenere così l’indennizzo massimo di 150 mila euro. Ovviamente è stato bloccato. Ma non è l’unico “pentito della flat tax”. I forfettari che si sono scoperti improvvisamente ricchi ad aprile 2019 sono «una delle casistiche ricorrenti» che ha fatto accendere il semaforo rosso nelle verifiche. Finora, sono 217 i casi di tentata frode scoperti incrociando i dati. Una minoranza, per fortuna, grazie soprattutto all’obbligo di fatturazione elettronica che taglia le ali a coloro che vorrebbero fare i furbi, sottolineano gli uomini di Ruffini. Nonostante ciò, sono ancora molti quelli che ci provano.
Fatture retrodatate
C’è per esempio una società di costruzioni nel casertano che ha gonfiato i ricavi di aprile 2019 emettendo a raffica fatture retrodatate appena appreso del decreto Rilancio. Allo stesso trucco è ricorsa un’impresa abruzzese, sempre del settore edile. Nel basso Lazio, invece, un’azienda immobiliare ha semplicemente riportato come dato di aprile 2019 il fatturato del primo trimestre, per aumentare così la perdita rispetto ad aprile 2020 e incassare un contributo più pesante.
Pages: 1 2