Ristori, i truffatori che puntavano ai contributi del Covid: scovate irregolarità per oltre 240 milioni

Forse questi imprenditori pensavano che i controlli sarebbero stati, come spesso avviene, a campione e successivi, tanto più che il governo aveva imposto di pagare subito, in due settimane. Invece, questa volta l’Agenzia ha incrociato i dati autocertificati in ogni domanda con quelli in suo possesso basati su liquidazioni Iva, fatturazione elettronica e altre informazioni presenti nell’anagrafe tributaria, bloccando i pagamenti quando i conti non tornavano. Ci sono però anche alcune centinaia di casi dove l’indennizzo è stato pagato, ma indagini successive, svolte con la guardia di Finanza, hanno portato alla luce truffe e sono quindi iniziate le procedure di recupero delle somme erogate.

Fantasmi e recidivi

Oltre ai falsi piccoli o pentiti della flat tax che dir si voglia, ci sono altre due casistiche frequenti emerse dai controlli incrociati, che chiameremo dei “fantasmi” e dei “recidivi”. I primi sono soggetti non operativi nel 2019 che però hanno trasmesso fatture datate aprile 2019, in pratica auto denunciandosi come evasori totali. I recidivi sono invece quei soggetti che rinunciano al contributo quando l’Agenzia chiede loro della documentazione, ma poi ripresentano l’istanza con dati aggiustati, ma di nuovo non rispondono alle richieste dell’Agenzia; insomma quelli che ci provano e ci riprovano. Fatto sta che finora sono 38mila le domande bloccate perché il richiedente non risulta aver presentato le comunicazioni periodiche e le dichiarazioni Iva nel 2019 e sono 25 mila le pratiche ferme perché i richiedenti non hanno la partita Iva oppure perché i dati non corrispondono a quelli in possesso dell’Agenzia, compreso il calo di fatturato di almeno il 33% ad aprile 2020 su aprile 2019.

A sua insaputa

Ci sono poi 19 mila casi che rientrano nello “scambio di soggetti”. Pratiche dove l’iban indicato non ha a che fare col richiedente, ma con una persona diversa. Per esempio, dei commercialisti hanno indicato nella domanda l’iban del proprio conto anziché quello del loro cliente che dovrebbe avere l’indennizzo. Un errore, una distrazione? Spesso, in questi casi, il ristoro viene chiesto a insaputa di quello che dovrebbe essere il destinatario, perché il consulente stesso non lo ha informato o perché per ragioni di salute o di età il potenziale beneficiario non si è interessato al contributo. Escamotage da commedia all’italiana, mentre migliaia e migliaia di piccoli imprenditori e lavoratori autonomi non sanno più come andare avanti.

CORRIERE.IT

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