La nostra anarchia di Stato

di Sabino Cassese

I rapporti tra poteri pubblici sono «anarchia di Stato» (Tremonti, La Verità, 16 novembre); i conflitti Stato – regioni hanno «creato confusione e conflitti istituzionali» (Berlusconi, Corriere della Sera, 15 novembre); «molte cose non hanno funzionato nella catena di comando» (Casellati, Il Sole 24 Ore, 15 novembre). Perché tanta babele nelle nostre istituzioni? All’origine, si è imboccata la strada sbagliata. La Costituzione riserva la profilassi internazionale esclusivamente allo Stato. Nonostante che il virus non rispetti i confini regionali, si è preferito, invece, riconoscere competenze concorrenti a Stato e regioni.

Ma questo avrebbe richiesto di far funzionare la collaborazione tra centro e periferia, perché i grandi servizi a rete, innanzitutto quello sanitario e quello scolastico, sono definiti dalle leggi «nazionali». Ciò richiede che nessuno si ritenga proprietario esclusivo, ma che tutti concorrano a deliberare ed eseguire insieme. Aperta la strada alle troppe voci, i protagonisti, alla ricerca di popolarità, hanno cominciato a battibeccare, confliggendo invece che cooperando, con un tira e molla che ha prodotto incertezza e stupore nell’opinione pubblica.

A questo punto, sul primo errore, che ha provocato il secondo, se n’è innestato un terzo: la proposta di ritornare a riformare la Costituzione, o riportando la sanità nella competenza esclusiva dello Stato centrale, o introducendo nella Costituzione una clausola di supremazia statale in caso di emergenza. Ma questa è una strada irrealistica, sia perché le modifiche costituzionali sono difficili da realizzare, sia perché la sanità rappresenta circa due terzi delle risorse finanziarie regionali e più della metà del loro potere lottizzatorio, e le regioni farebbero quadrato contro la riforma.

L’impasse è stata accentuata dalla diversità del sistema politico regionale rispetto a quello statale. Il primo è d’impianto presidenzialistico, il secondo è rimasto a struttura parlamentare. Ne è derivata una asimmetria tra centro e periferia: il centro dovrebbe dettare i principi e le linee guida, e determinare i livelli essenziali delle prestazioni, ma è la parte più debole, perché si esprime con troppe voci; le regioni sono dominate dai loro presidenti (non a caso chiamati, erroneamente, governatori).

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