La nostra anarchia di Stato

Su questo succedersi e accavallarsi di errori si è innestata una ultima fonte di confusione. Come è noto, il Parlamento dovrebbe essere il luogo del dialogo-conflitto tra governo e opposizioni. Ma, in una situazione nella quale le regioni sono per tre quarti nelle mani dall’opposizione, il governo preferisce dialogare e confliggere con le regioni, sia perché queste sono a loro volta divise, sia perché riesce ad ottenere un altro beneficio, quello di mettere su un binario morto il leader dell’opposizione. Il governo centrale così ottiene un vantaggio (perché dialoga direttamente con i presidenti regionali, tra cui vi sono i potenziali concorrenti del leader dell’opposizione), ma con un costo molto alto per le istituzioni, perché svuota il Parlamento (la dialettica maggioranza-opposizioni non si svolge né a Montecitorio né a Palazzo Madama) e mescola la dialettica istituzionale Stato-regioni con quella politica maggioranza-opposizioni. Ma — per usare una frase attribuita a Richelieu — il disordine del regno è utile all’ordine del re.

Questo intersecarsi ed intrecciarsi di errori e interessi di parte aumenta l’oscurità della politica, perché la società civile è oggi, più che in altri momenti, attenta al moto oscillatorio, alle tattiche, agli artifici retorici usati per nascondere interessi ed errori, con la conseguenza di aumentare quel distacco tra società e governo, tra Paese reale e Paese legale che è segnalato da anni dalla diminuzione della partecipazione politica.

Per uscire da questo labirinto, c’è un solo modo realistico. Occorre rendersi conto che la divisione dei compiti tra le istituzioni non vuol dire che esse non debbano lavorare insieme. La separazione delle funzioni non impedisce che Stato e regioni cooperino, si mettano d’accordo. Una lezione viene ancora una volta dalla vicina Germania, dove l’articolo 91 della Costituzione prevede che su alcuni compiti comuni «Bund» e «Länder» decidano insieme, impegnandosi a cooperare anche nell’esecuzione. Questa collaborazione sarebbe necessaria anche in Italia, perché — lo ripeto — le leggi istitutive del Servizio sanitario e del Sistema scolastico recano ambedue l’aggettivo «nazionale» proprio per sottolineare che essi non sono nel dominio esclusivo dello Stato o delle regioni, e che, quindi, Stato e regioni debbono congiuntamente farsene carico, collaborando.

CORRIERE.IT

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