Opere da commissariare, sei mesi solo per una lista
La lista sarà inviata nelle prossime ore. Mittente: Giuseppe Conte. Destinatario: il Parlamento. Dentro ci sono le opere che palazzo Chigi ha deciso di commissariare. Alcune sono da realizzare, altre da completare. Il principio politico è semplificare, sbloccare, accelerare. E affidare “a uno o più” commissari la messa a terra di una strategia che ambisce a riscrivere il capitolo opere pubbliche in Italia. Quello che nella stragrande maggioranza dei casi è stato riempito da questioni come la burocrazia, gli appalti e i subappalti congestionati e ostaggio del malaffare e della criminalità, i soldi sprecati, i ritardi. Questa lista arriva oggi, primo dicembre. Sei mesi dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di quel decreto Semplificazioni festeggiato come la svolta. Di più. La lista è pronta da luglio, sul tavolo del premier da settembre. Ancora: i nomi dei commissari non sono stati scelti.
Il fatto che il Governo arrivi a presentare oggi una lista che era di fatto pronta già sei mesi fa innanzitutto affatica, e molto, il percorso messo nero su bianco nel decreto Semplificazioni. La lista, infatti, dovrà ricevere il via libera da parte delle commissioni parlamentari competenti prima di confluire in uno o più Dpcm che Conte dovrà adottare per “individuare gli interventi infrastrutturali” che secondo il Governo hanno bisogno dei commissari. Il tempo a disposizione per completare questo iter termina il 31 dicembre. I giorni a disposizione sono appena trenta. E se è vero che lo stesso decreto Semplificazioni prevede che il parere delle commissioni arrivi al massimo entro 15 giorni (in caso contrario si procede senza), è altrettanto vero che anche se lo sprint riuscisse, questa stessa accelerazione andrebbe a puntellare il primo step di un percorso che doveva e poteva essere decisamente più veloce. L’articolo 9 del decreto Semplificazioni, non a caso, è stato scritto sei mesi fa con un’intestazione precisa: “Misure di accelerazione degli interventi infrastrutturali”. E invece tutto è stato tranne che un’accelerazione.
È utile fare un passo indietro per inquadrare la questione e soprattutto per entrare nelle dinamiche, politiche, ancora di più ministeriali, che hanno affossato il principio politico dello sblocco delle opere pubbliche. Imponendone un altro: quello del ritardo. Furono i renziani, nel novembre del 2019, a sollecitare Conte sulla necessità di cambiare strategia in tema di opere pubbliche. Nacque allora Italia Shock, il piano di Italia Viva, la prima battaglia politica di Matteo Renzi e dei suoi per entrare nell’agenda di governo. Il modello era quello della ricostruzione del ponte Morandi a Genova e dell’Expo di Milano: velocità e commissari. Seguirono discussioni, incontri, vertici. Da parte sua il Pd, che guida il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture con Paola De Micheli, insisteva sulla stessa direzione. Si arrivò così al decreto Semplificazioni approvato dal Consiglio dei ministri nella notte tra il 6 e il 7 luglio. Il principio politico, come si è detto, è stato indicato nell’articolo 9 del provvedimento, lì dove si dettaglia la necessità di individuare quelle opere caratterizzate “da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa, da complessità delle procedure tecnico-amministrative ovvero che comportano un rilevante impatto sul tessuto socio – economico a livello nazionale, regionale o locale, per la cui realizzazione o completamento si rende necessario la nomina di uno o più Commissari straordinari che è disposta con i medesimi decreti”.
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