Mes, cosa prevede la riforma? Le modifiche e il significato per l’Italia

di Federico Fubini

Un ministro di un altro Paese dell’area euro esprimeva qualche tempo fa la sua meraviglia verso l’Italia: «Siete il solo Paese in cui la riforma del Mes finisce in prima pagina – diceva questo esponente politico -. I miei elettori non sanno neanche cos’è!». Si sarebbe potuto rassicurare questo ministro: neanche gli elettori italiani e i loro politici, in grandissima parte, sanno realmente cos’è il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Solo che in Italia è diventato il simbolo di una divisione più profonda: fra europeisti e antieuropei; fra coloro che pensano che l’Europa sia il presente, il futuro dell’Italia e forse la sua sola salvezza e quelli che si sentono o si dichiarano minacciati dalle regole di Bruxelles.

Come tutti i simboli, il merito del Mes e della sua riforma – approvata sul piano politico dai ministri dell’Economia lunedì scorso dell’area euro – spesso finisce in secondo piano. Ma vale la pena vederne almeno i cinque aspetti salienti: tre rilevanti perché sono stati varati dall’Eurogruppo lunedì scorso e due rilevanti proprio perché non fanno parte della riforma (anche se alcuni Paesi avrebbero voluto introdurli). Vediamo dunque prima di tutto cosa c’è nella riforma del Mes e poi cosa non c’è.

1. Il paracadute per le banche

La riscrittura del trattato sul Mes introduce la possibilità di anticipare all’inizio del 2022, cioè di fatto fra un anno, il cosiddetto «backstop» al Fondo unico di risoluzione per le banche. Di che si tratta? Si può pensare al «backstop» come a un paracadute finanziario, le cui risorse proverrebbero dal Mes, da aprire quando una banca in dissesto va smantellata, ma le risorse disponibili per farlo in modo ordinato – cioè mantenendo l’operatività per i clienti – non bastano. In base ai meccanismi dell’Unione bancaria in Europa queste risorse per la «risoluzione» di una banca (il suo smantellamento in un’ordinata procedura fallimentare) vengono messe a disposizione da tutte le banche europee di dimensioni rilevanti, che versano ogni anno dei contributi a questo scopo in un Fondo unico. Il Fondo unico di risoluzione viene gestito dal Comitato unico di risoluzione («Single Resolution Board») un organismo strutturalmente incorporato nella Commissione europea. Dunque si tratta di una messa in comune del rischio finanziario: se una banca cipriota finisse in risoluzione – poniamo – il Fondo unico potrebbe essere chiamato a contribuire per mantenerne l’operatività (per esempio, la gestione e la distribuzione ordinata ai clienti della liquidità agli sportelli) anche grazie a contributi di banche tedesche, finlandesi o olandesi.

Poiché però le banche europee hanno iniziato a contribuire al Fondo unico da poco, le sue risorse sono ancora limitate. È possibile che una «risoluzione» (fallimento) di un istituto debba assorbire più denaro di quanto sarà presenti nel Fondo unico nel 2022 o nel 2024. Di qui la necessità di un «backstop», letteralmente un supporto, o «paracadute». In base all’accordo dell’Eurogruppo dell’altra sera, questo supporto può venire da una parte dei fondi del MES: denaro raccolto a debito dal Meccanismo europeo di stabilità sulla base di una quota di capitale e garanzie di ciascuno degli Stati dell’Unione bancaria. È dunque un meccanismo di sostegno reciproco in Europa, che nel complesso favorisce i cittadini dei Paesi e i clienti delle banche più deboli perché offre loro un’ulteriore rete di sicurezza. Il Fondo unico – cioè il pool di risorse generate dalle banche – dovrà poi negli anni rimborsare il Mes.

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