Giuseppe Conte, il grande freddo
Un rumore di fondo avvolge il Palazzo, coi suoi conciliaboli informali, gli incontri per approfondire, una frenesia quasi da “pre-crisi” di governo. Al curioso sottosegretario del Sud andato a chiedere “che aria tira”, preoccupato per quel che potrà accadere, il ministro Provenzano, veloce di pensiero e di battuta ha risposto laconico: “Fa freddo”. Ed evidentemente non parlava del tempo, perché dopo una pausa ha aggiunto: “La verità è che c’è un’aria di sospensione, magari il 9 lo svalichiamo però…”.
E c’è un motivo se anche quelli attorno a Zingaretti, con uguale disincanto, sussurrano, senza azzardare previsioni: “Nella prima Repubblica già saremmo stati alle consultazioni al Quirinale”. Perché c’è il 9 dicembre, ennesimo D-day della politica italiana che vive di attese, col voto sul Mes, ma c’è anche il giorno dopo, con tutti i nodi ancora non sciolti e quello prima, e quello prima ancora, in cui si terrà il consiglio dei ministri sul Recovery. Pare che Conte proporrà una struttura più snella rispetto all’esercito dei trecento consulenti, ma al di là del numero il problema è capire se il governo è ancora in grado di esprimere qualcosa in un quadro sempre più “sfilacciato”.
Ecco, magari si “svalica”, perché Mattarella ha fatto capire che non è disposto a tollerare un incidente che equivale, per rilevanza politica, a un voto di sfiducia, perché è impensabile un pasticcio su un tema che investe la credibilità del paese, dopo mesi di trattative e di assicurazioni date ai partener europei. Ed è impensabile ipotizzare che, inciampando sul Mes, lo stesso governo e la stessa maggioranza possano gestire il complesso dossier del Recovery, in un clima di sfiducia da parte di quelle cancellerie cui sono state date garanzie. È per questo che il capo dello Stato ha fatto trapelare la parola “scioglimento”, in caso di incidente, minaccia estrema che storicamente il Quirinale utilizza per ricondurre a ragionevolezza un quadro impazzito, anche facendo leva sull’istinto di autoconservazione dei parlamentari. E un primo effetto l’ha sortito a leggere le parole di Beppe Grillo, che sostanzialmente rassicura sul no all’utilizzo della linea di credito sulla sanità per favorire un sì sulla riforma del trattato: “Il problema – spiegano ai piani alti del Pd – è come scrivi questo accrocco, perché noi un no al Mes sanitario messo nero su bianco non lo reggiamo, e non si capisce se un rinvio basta a tenere la fronda dei Cinque Stelle”.
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