Giuseppe Conte, il grande freddo

Cinque giorni in una votazione del genere sono un’eternità, anche per capire come col gioco d’Aula si può supplire alla politica, perché “se escono alcuni dei cinque stelle e alcuni di Forza Italia si riesce a salvare capre e cavoli”. Però il problema resta. I famosi tavoli per discutere di programma diventati la fiera del nulla, le richieste del Pd sulla riforma elettorale lasciate cadere, la cabina di regia gestita in modo personalistico, il tema del rimpasto sprezzantemente derubricato a “vecchia politica”. Più Conte si “arrocca”, più aumenta il malcontento: “Non ha capito – proseguono le stesse fonti – che non è una roba di poltrone ma di indirizzo politico”. E se l’incidente, anzi l’Incidente, non è frutto di una trama perché nessuno lo programma, può accadere che sia proprio figlio dell’incapacità di governare la complessità perché se crei la palude ci sta che prima o poi spunta un coccodrillo. È quel che pensano anche dentro i Cinque Stelle, dove parte del malessere sul Mes catalizza un’analoga voglia di rimpasto. E chi non lo vuole, come Stefano Buffagni è preoccupato perché “è come se tutti aspettassero che accada qualcosa”.

Ecco, magari si “svalica”, perché non si è mai vista una crisi in piena sessione di bilancio e in pieno picco dei morti, figuriamoci le elezioni anticipate, però quando il picco calerà, come è già evidente, molti si sentiranno liberi da questa sorta di vincolo esterno. Soprattutto chi non ha niente perdere. Non a caso Goffredo Bettini va ripetendo ai suoi compagni di partito “occhio che stavolta Renzi va sul serio”, invitando a non sottovalutare ciò che il leader di Italia non ha detto pressoché a tutti. E cioè che “Conte o cambia squadra o cambia mestiere perché se continua così stavolta si fa male”. E ci sta che, in quel momento, non sarà nemmeno additato come l’uomo nero che ha rotto il giocattolo. Perché il giocattolo si sta rompendo da solo.

L’HUFFPOST

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